NEWS

Operazione Scialandro, le mani della mafia sulla città

Rino Giacalone il . Corruzione, Forze dell'Ordine, Istituzioni, Mafie, Politica, Sicilia

Mafia nel trapanese: i retroscena dell’ indagine antimafia firmata da Dia, Polizia e Carabinieri.

Custonaci è un piccolo paese del trapanese, famosa per il proprio marmo, tanto da far concorrenza a quello di Carrara. Ma Custonaci è stata nel tempo una roccaforte di Cosa nostra. Di quella mafia capace di far politica e fare impresa.

Ancora oggi è stata disvelata ad essere il centro di affari tra mafia e politica, calpestando la gente e i relativi bisogni, diventati per certuni occasioni di guadagno e speculazione.

È indagato l’ex sindaco Giuseppe Morfino, medico e potente uomo della Dc dai tempi della prima repubblica, oggi ha il suo bel da fare, quello di doversi difendere da una misura nella quale è indicato come indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo immaginiamo impegnato a difendersi, e non vogliamo distrarlo. Sebbene il gip, giudice Alfredo Montalto, non ha ravvisato gli estremi per accogliere la misura detentiva chiesta dai pm della Procura distrettuale di Palermo, Guido, De Leo e Brandini, intanto è sotto inchiesta per avere presieduto una sorta di giunta parallela, dove Cosa nostra ne avrebbe fatto parte con tutto il migliore agio.

Certo è che al Municipio di Custonaci per anni c’è stato un certo via vai di personaggi, uomini e donne, che con Cosa nostra erano anche più che parenti, degli assoldati. E le persone ritenute per bene vedevano e non parlavano, nemmeno quando il vice sindaco Carlo Guarano, che sarebbe diventato assessore in quota Cosa nostra e che da impiegato dell’ufficio di collocamento si sarebbe occupato di far trovare lavoro a qualche “amico”, andava dicendo nemmeno sottovoce che erano divenute insopportabili le manifestazioni a ricordo di Falcone e Borsellino e che la targa collocata nell’aula consiliare così dedicata al giudice Antonio Caponnetto se qualcuno doveva pagarla non poteva che essere, a suo dire, i familiari del giudice.

E queste cose si dicevano mentre si pensava a fare affari, gestendo appalti, compreso anche quello della distribuzione idrica, sfruttando senza ritegno, il bisogno più noto che c’è in questa terra, la penuria d’acqua, oppure gestire i benefit economici legati a fronteggiare l’emergenza Covid. Misfatti che dovrebbero portare la società civile a indignarsi.

Sembra di vivere le scene del film “Le mani sulla città” di Pietro Germi. Allora c’era il bianco e nero, oggi le pellicole sono a colori, ma la realtà è sempre colorata dal grigio di quell’area fortemente contigua a Cosa nostra.

L’indagine “Scialandro” dimostra che Cosa nostra da queste parti continua a vivere, con i soliti pesanti cognomi. Gli stessi che spuntano negli atti giudiziari sin da quando pm a Trapani era Gian Giacomo Ciaccio Montalto, ammazzato dalla mafia nel 1983, o ancora Carlo Palermo, il magistrato che doveva morire nell’attentato di Pizzolungo del 1985 dove persero la vita una mamma e i suoi due gemellini, Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta. Cognomi che si possono leggere nella sentenza pronunciata per l’omicidio nel 1988 del giornalista e sociologo Mauro Rostagno, o ancora in quella per l’assassinio dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, era il 23 dicembre del 1995 e quel delitto era il regalo di Natale a boss detenuti al 41 bis.

Spunta così il nome di Giuseppe Costa che da sequestratore del piccolo Giuseppe Di Matteo (il figlio del pentito Santino ucciso per vendetta) è diventato presto un vero capo una volta tornato libero, e con lui ci sono i nomi dei Bonanno, dei Buzzitta, dei Mazzara, Mario e Vito, quest’ultimo sicario di fiducia dei Messina Denaro e dei Virga, dei Minore.

Uno di questi, Mariano, figlio di Caliddo Minore (restarono famosi i funerali celebrati nella Basilica della Madonna, nel cuore di quel borgo da sempre regno della “famiglia”, navate affollate e saracinesche dei negozi chiuse per lutto e articolo celebrativo sulle colonne del principale quotidiano, il Giornale di Sicilia), addirittura è stato ascoltato dire che una volta “posato” dai vertici mafiosi corleonesi, che intanto avevano ucciso lo zio, il potente Totò Minore, capo della mafia trapanese sino al 1982, è rimasto in attesa di poter tornare nella cosca, “uno nasce con una stidda….io seguo la linea perfetta che mi ha lasciato mio padre”. E in tal modo si è fatto riconoscere tra le figure più rappresentative della mafia locale, e lui sprezzante andava dicendo che chi lo aveva “posato” era solo della gentaglia.

Buzzitta padre, Nino, appena condannato al processo “Scrigno”, si è scoperto aver trovato ottima spalla nel figlio, Andrea, per non parlare di Pietro Armando Bonanno, killer in libertà della mafia trapanese, forse il vero regista della condotta attuata per rimettere in piedi Cosa nostra a Trapani dopo arresti e condanne. Si parlavano e si incontravano alla luce del sole, anche in un noto stabilimento balneare trapanese, uno tra i più “in” della città, serate trascorse a bere champagne.

Una mafia che è tornata, anzi per meglio dire forse da lì non si è mai mossa, al più antico degli affari, quello del controllo del territorio attraverso il predominio su cospicue proprietà terriere, sui pascoli, imponendo le proprie gabelle, o anche mettendo mano ad aste giudiziarie, con il solito ventre molle del Tribunale, se è vero ciò che si legge e che qualche dipendente degli uffici giudiziari sarebbe stato solito passare notizie importanti per le aggiudicazioni.

Un personaggio rimasto per adesso senza volto. Ma tra le pagine dell’ordinanza si possono intravedere altri affari, il controllo del mercato del calcestruzzo, di quello oleario, ma si intravede anche altro per i nomi in campo, il commercio per esempio dei materiali di cava finiti a riempire i nuovi porti in mezza Sicilia.

Ancora una volta viene fuori la fotografia più reale della mafia trapanese, una mafia che sa sparare bene quando è ora di sparare ma sa votare bene quando è ora di votare.

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link