Pasquale Angelosanto. Il generale ha preso Messina Denaro e ora lascia la guida del Ros
D’accordo, queste cose normalmente non si fanno. Ma io sento di doverla fare. Perché domani, presso la caserma romana dell’Arma dei carabinieri intitolata a Salvo D’Acquisto, si terrà una breve cerimonia di saluto di un signore gentile.
Lascerà il comando del celebre Ros (il Raggruppamento operativo speciale) e con esso il servizio attivo il generale Pasquale Angelosanto.
Abbiamo gioito tutti (o quasi), all’inizio dell’anno, alla inaspettata notizia della cattura di Matteo Messina Denaro. Eccitazione, sollievo. L’imprendibile, la primula rossa, il millantato capo dei capi, l’ultimo “grande leader” di Cosa Nostra, colui che mescolava affari e libri con il (tanto!) sangue innocente sparso in terra di Sicilia e non solo, era stato catturato dopo trent’anni.
In quell’occasione il nostro immaginario si è naturalmente concentrato sul boss; assai meno sul suo avversario, su colui che, a nome dell’Italia intera, aveva con i propri uomini la responsabilità di cercarlo, snidarlo e catturarlo. Ossia, fatta salva la funzione direttiva della magistratura, esattamente il generale Angelosanto.
Il quale in una manciata di ore si dovette sorbire tutta la diffidenza cresciuta nei decenni verso il Ros. Indipendente da lui e dalla sua azione. Così, dopo anni a dirsi “chiediamoci come mai non prendono Messina Denaro, ci sarà una ragione”, ecco fulmineamente la lamentazione opposta: “chiediamoci come mai hanno preso Messina Denaro”. Sottinteso dei più furbi: ci sarà una ragione, ci sarà una trattativa, a noi non ci fanno fessi.
E Angelosanto con i suoi baffetti sottili e silenziosi in mezzo alle insinuazioni. Perché, come è ben noto, da noi lo Stato non può mai giocare pulito.
Qui dirò dunque che il generale mi aveva colpito mesi prima quando a una specifica domanda su Messina Denaro aveva risposto, in pubblico, “lo prenderemo”. Con convinzione, con la voglia di dar fiducia ai cittadini tenuta a bada dall’esigenza di riservatezza. Lo disse in un modo così deciso che pensai “allora lo prenderanno”. Solo lui poteva sapere come gli stavano facendo il vuoto intorno, come stavano scientificamente studiando movimenti e incontri di decine e decine di sospettabili di concorso esterno.
Poi, alla faccia delle illazioni, poté dimostrare che la trattativa non c’era stata. Diversamente da dopo l’arresto di Riina vennero fuori infatti taccuini, informazioni, scaffali, pizzini a raffica, roba da ridisegnare una mappa intera delle complicità e delle connivenze. Imprese, sanità, commercio, scuola, istituzioni, amici, amanti e compagni di scuola. Angelosanto gongolava ma non lo poteva dire. Già un’infermiera lo aveva detto con semplicità disarmante: ma vi pare che se si fosse messo d’accordo avrebbe lasciato in giro il viagra?
Invitammo il generale alla Statale di Milano pochi giorni dopo. Pensavamo che avrebbe rinviato tutto. Invece arrivò davvero. Il tempo di una lezione ricchissima su strumenti e forme delle investigazioni antimafia. Naturalmente nessuno di quelli che andavano da lui a caccia di notizie si sognò di venire a sentirlo a lezione, perdendo così un’ottima occasione per capire un po’ di più quanto era successo.
Il generale impressionò tutti per la sua modestia e il suo garbo, anche formale. A nessuno sfuggi il suo dare la destra ai propri ospiti mentre camminava verso la bellissima aula “Crociera”. Apparve lo Stato di cui ti puoi fidare anche quando tratta cose segrete. La Costituzione che sempre fa da sfondo alle analisi del generale. Se ne andò via subito, neanche il tempo di una cena, il lavoro lo aspettava.
Al momento del saluto vorrei che quel suo agire fuori dai riflettori, quella sua umiltà di capo che guida al successo, restasse nella nostra memoria. E insieme i colpi inflitti al terrorismo, alla camorra, alla ‘ndrangheta, a Cosa Nostra.
Sarebbe irriconoscente avvalersi di queste figure e alla fine non essere capaci di dir loro almeno un grazie.
Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 16/10/2023
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Milano. Non smettiamo mai di raccontare le storie importanti: i ragazzi lo sanno fare
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