Vajont: l’olocausto, l’ossario a cielo aperto. La lezione di Tina Merlin e del presidente Mattarella
“Olocausto” 1963 – “Ossario a cielo aperto” 2023. L’alfa e l’omega della tragedia del Vajont, a sessant’anni dal quel 9 ottobre alle 22.39 quando dal monte Toc si staccarono 260 milioni di metri cubi di roccia che finirono nel bacino artificiale della diga ad arco più alta del mondo, vanto dell’ingegneria idraulica nazionale, provocando l’onda di morte che cancellò Longarone e i suoi abitanti: 1.910 morti, fra cui 487 bambini.
La prima espressione è di Tina Merlin, la coraggiosa e caparbia giornalista di Trichiana che dalle pagine dell’Unità denunciò dalla fine degli anni Cinquanta i rischi e i pericoli di quel progetto. Inutilmente.
La seconda espressione è del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che l’altro ieri, lunedì 9 ottobre ha partecipato alle celebrazioni in memoria delle vittime, dei sopravvissuti, dei superstiti. La visita commovente al cimitero di Fortogna, i mesti passi nel corridoio delimitato dalle lapidi bianche e severe, le voci dei piccoli cantori e le strazianti note della tromba di Paolo Fresu, le parole palpitanti del sindaco di Longarone, Roberto Padrin. Quindi il trasferimento a Erto e Casso, e la prolusione sullo sfondo della diga ancora intatta e incombente, per nulla scalfita dalla frana gigantesca, ormai parte integrante del paesaggio maestoso e triste dell’Alta Valcellina e della Valle del Piave.
Il Vajont: “olocausto” a sottolineare il sacrificio supremo della popolazione sull’altare del dio profitto o di “una impresa da guinness dei primati” come ha tuonato il patriarca di Venezia Francesco Moraglia nell’omelia della Messa celebrata nel pomeriggio; “ossario a cielo aperto” a sottolineare che è tomba di tutte quelle persone, centinaia e centinaia, i cui corpi non sono mai stati recuperati, dispersi fra acqua e fango.
Una strage annunciata. Lo ha stabilito la sentenza del processo che per “legittima suspicione” si è svolto a L’Aquila. E Mattarella ha raccolto l’appello di Padrin affinché le «carte giudiziarie rimangano a Belluno». «Non è stata una tragica fatalità. La fragilità della montagna era nota. Con vergogna bisogna dire che solo due persone sono state condannate a 5 anni e a 3 anni e 8 mesi: questo è il risultato di 1.910 morti», ha detto il presidente del Veneto, Luca Zaia, nel suo discorso davanti al Capo dello Stato, preceduto dal collega del Friuli Venezia Giulia, per il quale «Vajont ha segnato una vera e propria cesura temporale». Niente è più come prima. Non lo sarà mai. Anche a sessant’anni di distanza.
I soccorritori, la gara di solidarietà, la ripartenza, la resilienza. Il monito è non dimenticare con l’impegno di non ripetere gli stessi errori. L’informazione svolge un ruolo fondamentale. Tina Merlin lo ha dimostrato, la sua figura di cronista locale è di stretta attualità. Cosa abbiamo imparato? Si è chiesta all’indomani del disastro. Cosa possiamo ancora imparare dal suo giornalismo?
La Fnsi, con la Provincia di Belluno, i Comuni di Longarone e Borgo Valbelluna, la Fondazione Vajont e l’Associazione culturale Tina Merlin, ha voluto intitolare a lei il primo premio nazionale sul giornalismo d’inchiesta territoriale “Dov’è Tina Merlin oggi?”.
Tina Merlin è in tutte le croniste e i cronisti che ogni giorno, tutti i giorni, svolgono con coraggio, determinazione, onestà, preparazione il loro mestiere al servizio dei cittadini e sancito dall’articolo 21 della Costituzione.
Qui il bando per partecipare al concorso, candidature entro il 10 novembre
https://www.sindacatogiornalistiveneto.it/
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Sasso, bicchiere, tovaglia. Anche così hanno raccontato il Vajont
Premio Fnsi ‘Dov’è Tina Merlin oggi?’ 2023, ecco il bando. Elaborati entro il 10 novembre
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