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Silvio Novembre e Giorgio Ambrosoli lavorarono fianco a fianco, fino a diventare fedeli amici

Francesca Ambrosoli il . Costituzione, Criminalità, Forze dell'Ordine, Giustizia, Istituzioni, Lombardia, Mafie, Memoria

Pubblichiamo il testo dell’intervento reso da Francesca Ambrosoli, figlia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, in occasione della presentazione del libro “Silvio Novembre, il coraggio oltre il dovere” che si è tenuto lo scorso 27 settembre a Milano.

Ho conosciuto Silvio Novembre che ero una bambina. Era il settembre del 1974 quando mio padre ricevette l’incarico dal governatore della banca di Italia Guido Carli di esaminare la situazione economica che aveva portato la baca Privata Italiana al crack finanziario. Papà fu nominato come unico commissario liquidatore, ma volle con sè pochi fidati collaboratori e amici (Pino Gusmaroli, Sinibaldo Tino e Luigi Pollini) perché lo affiancassero in questo nuovo, importante e riservato mandato.

Un mese dopo la procura di Milano, nella figura del giudice Guido Viola, nominò il maresciallo della finanza Silvio Novembre con una sue équipe per analizzare gli stessi bilanci sui cui cercava di far luce papà, che inizialmente non fu felice di questa intromissione, ma ben presto riconobbe in Silvio, un professionista, competente, serio e come lui determinato a scoprire la verità su tutto l’operato illecito compiuto da Michele Sindona.

Lavorarono fianco a fianco per quei cinque anni sostenendosi e conoscendosi sempre più, fino a diventare fedeli amici, aumentando uno le doti dell’altro tanto da “moltiplicarsi”. L’isolamento che quel genere di impegno lavorativo imponeva loro li portò a gesti che spesso andarono be oltre la consuetudine.

Furono anni difficili, a volte spaventosi per via delle terribili minacce che ricevevano e registravano, complicati anche da tentativi di allontanamento e da pressioni che in particolare con Silvio li colpivano negli affetti più cari, ma l’indole irremovibile di entrambi li ha continuamente spinti a procedere e a scoprire anche documenti nascosti e un intricato schema di società fantasma.

A casa, in famiglia papà e Silvio erano per noi, che invece vivevano ignari di tutte le loro difficoltà, due ottimi amici, affettuosi, gentili, premurosi, capaci di giocare e di scherzare. Ci davano un senso di sicurezza e di tranquillità. Fin da quei primi momenti ho visto in Silvio una roccia a cui affrancarmi, un uomo sincero, affidabile e onesto, governato dal senso del dovere e della rettitudine.

Fatico ancora oggi a immaginare il suo dolore, la rabbia, lo sconforto e il senso di impotenza di quando papà morì.

Nei giorni precedenti papà aveva terminato la sua deposizione chiave, interrogato come testimone del giudice istruttore Giovanni Galati in tre giornate consecutive dai giudici e dagli avvocati di Sindona giunti da New York per una rogatoria ordinata dalla corte federale sulla banca rotta fraudolenta della Frankling National Bank, lo scandolo finanziario più grande nella storia degli Stati Uniti fino a quel momento. Per prepararsi a questa deposizione nelle settimane precedenti con Silvio avevano ri-analizzato con cura ogni passaggio della documentazione contabile.

Silvio raggiunse la famiglia, la moglie malata e le bambine anche per festeggiare il suo compleanno che sarebbe stato il dodici luglio.

In quella stessa data papà sarebbe dovuto tornare in tribunale per rileggere il verbale di quella deposizione, verificare gli allegati e firmare, ma fu ucciso la notte precedente dai colpi mortali del killer Arcò che lo aspettava sotto casa per eliminarlo.

Silvio tonò subito a Milano, ci fi vicino, partecipò al funerale e fino all’ottantadue le sue affermazioni furono preziose e determinanti a ricostruire tutta la vicenda.

Poi si congedò dalla Guardia di Finanza. Negli anni che seguirono non si risparmio: con società civile e con Libera dedicò molto del suo tempo a ripercorrere quei momenti.

Sono cresciuta anche grazie al suo esempio di uomo saldo e onesto, di marito e padre protettivo e affettuoso. Silvio ha in parte sostituito papà fino a quando, ormai stanco dagli anni, mi capitava di ascoltarlo.

L’ho ammirato sempre per le sue parole con cui definiva le doti professionali e umane di papà, ma anche per il ritratto sempre più chiaro che mi dava di sé, un uomo forte e pacato, retto dal senso del dovere e dal senso dello stato.

Nutro per lui molta riconoscenza, stima e gratitudine, è stato sempre fedele a sé stesso: un umile servitore dello stato coraggioso ed integro fino alla fine.

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La storia di Silvio Novembre ci parla di difesa del bene comune, di dignità e di rispetto verso se stessi

Milano 27 settembre, presentazione del libro “Silvio Novembre, il coraggio oltre il dovere” 

Silvio Novembre. Il coraggio oltre il dovere

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