Il caso dei migranti in mare depredati dai trafficanti
Alcuni giorni fa il Tribunale di Palermo – Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari personali e reali, ha accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Agrigento contro l’ordinanza del 27 luglio 2023 del GIP dello stesso Tribunale che non aveva ritenuto applicabile la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un tunisino, comandante di una imbarcazione, indagato per il reato di cui all’art. 1135 (“pirateria”) del Codice della Navigazione.
L’episodio si sarebbe verificato il 18 luglio 2023 al largo di Lampedusa e l’addebito provvisorio formulato dal p.m. nei confronti del comandante del peschereccio (“Assyl Salah”) battente bandiera tunisina e dei tre componenti l’equipaggio era, appunto, la violazione dell’art.1135 per aver commesso atti di depredazione in danno di un barchino in ferro, privato di motore, con la forza, con a bordo una quarantina di migranti chiedendo, in cambio di aiuto, denaro e i telefoni cellulari di cui erano in possesso con la minaccia di lasciarli alla deriva se avessero rifiutato la richiesta.
I migranti inizialmente respingevano la “richiesta” ma, mentre il peschereccio si stava allontanando, impauriti chiedevano l’aiuto e cedevano alle richieste consegnando il denaro e i cellulari. Il GIP non aveva ritenuto che la condotta descritta integrasse il delitto di pirateria che sanziona , fra l’altro, gli ”atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico” riqualificando il fatto nel delitto di estorsione aggravata ex art.629 c.p.
Il giudice del riesame ha, tuttavia, ricordato la definizione di pirateria di cui all’art.101 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (stipulata a Montego Bay il 10.12.1982) rientrandovi, fra l’altro, “ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina, commesso a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati”.
La qualificazione del fatto ai sensi dell’art.1135 cod. nav. comporta la sussistenza della giurisdizione italiana ex art. 7 del c.p. secondo cui è applicabile la legge penale italiana in caso di reato commesso in territorio estero, in alto mare o, comunque, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato, “per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana” .
È la prima volta che viene contestato in Italia il delitto ex art.1135 cod.nav. che prevede la grave sanzione penale della reclusione da 10 a 20 anni nei confronti del comandante della nave che commette atti di depredazione, diminuita in misura non superore ad un terzo per gli altri componenti l’equipaggio.
Il processo è appena agli inizi ed è comprensibile l’attesa di vedere l’esito anche perché, in un recente, passato, sempre nel Mediterraneo, vi erano stati altri casi di “pirateria”, come segnalato da migranti, che non si era potuto approfondire per la mancanza di utili elementi.
Intanto, il Collegio del riesame ha valutato di dover confermare la misura della custodia in carcere nei confronti del comandante del succitato peschereccio accogliendo, così, l’appello proposto dal p.m. presso il Tribunale di Agrigento.
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