Non si umiliano così le toghe
Il Guardasigilli Carlo Nordio, parlando ai magistrati di “Area” riuniti a Palermo ha fatto il suo mestiere, sintetizzabile nella frase “tutto va ben madama la marchesa”. Peccato che le cose non stiano esattamente così.
La riforma costituzionale della separazione delle carriere fra Pm e giudici – checché ne pensi Nordio che la vuole anche se dice di sentirsi “ancora la toga addosso” – avrà inesorabilmente, come risultato, di subordinare il PM all’esecutivo. Così è ovunque vi sia una qualche declinazione della separazione.
La verità è che le (contro) riforme come questa non sono funghi che spuntano per caso.
Ricordo una lettera aperta che ebbi occasione di scrivere al premier Berlusconi, che dopo aver duramente attaccato la magistratura in due interviste allo Spectator e alla Voce di Rimini, a fronte delle vigorose reazioni che ne seguirono, diramò un comunicato per affermare che il suo “rispetto per l’impegno della magistratura non poteva essere messo in discussione”, mentre ribadiva la “presenza di incontestabili comportamenti faziosi di singoli procuratori”.
Dunque, le contestazioni di B. non avrebbero riguardato l’intero ordine giudiziario, ma soltanto singoli procuratori. Non era così, come dimostrano le vicende del nostro Paese degli ultimi anni.
All’inizio, è vero, ad essere oggetto – non di critiche (ovviamente legittime e spesso utili) – ma di attacchi apodittici e indiscriminati sono stati solo alcuni procuratori. Ma poi, man mano che le indagini si concludevano, hanno cominciato ad essere delegittimati e offesi i magistrati giudicanti: tutte le volte in cui sono stati chiamati a occuparsi di processi sgraditi e hanno deciso in maniera contrastante con le aspettative degli interessati.
Alla fine, l’attacco – da B. personalmente condotto con un intervento televisivo a reti unificate – si è addirittura rivolto contro le Sezioni unite della Cassazione, massimo organo giudiziario del nostro sistema, “colpevole” di non aver applicato la “legge Cirami” come ci si aspettava. Il problema, allora, non era costituito da singoli procuratori.
L’attacco era, per così dire, a geometria variabile, nel senso che poteva subirlo qualunque magistrato – pubblico ministero o giudice, quale che fosse la città o l’ufficio in cui operava – ogni volta che avesse la sfortuna (spiace dirlo: ma è questa la parola giusta) di imbattersi in vicende delicate.
Ciò poneva – e pone ancora oggi – una serie di interrogativi ineludibili.
È giusto gettare pregiudizialmente fango su un magistrato sol perché indaga o eventualmente condanna – per fatti specifici – un personaggio pubblico? E, viceversa, è giusto applaudire, sempre a priori, il magistrato che assolve quell’imputato? Quando si tratta di personaggi di peso (imputati per fatti specifici e non certo per il loro status) giustizia giusta è, per definizione, solo quella che assolve? Ragionando in questo modo, non si sovvertono le regole fondamentali della giustizia? Non si incide sulla serenità di giudizio? Dove sta la linea di confine fra attacco e intimidazione?
Ecco: la storia dei rapporti far politica e magistratura in Italia è fatta di questi interrogativi. Nei quali affondano anche le radici della (contro) riforma sulla separazione delle carriere, che proprio per questo preoccupa non poco.
Quanto poi all’altro punto trattato da Nordio (l’efficientamento – bella parola ! – dei processi) per il penale non c’è niente di niente in vista. Anzi per certi profili (sembra impossibile, ma Nordio ci sta provando) persino un peggioramento.
Penso all’introduzione di nuovi reati pur sapendo che non servono a nulla, se non a fare la faccia feroce per rassicurare la pubblica opinione; penso al ritorno della prescrizione “vecchio stile”, per cui ciò che ovunque funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi casi che l’ingranaggio non riesce a concludere, da noi finisce per strutturarsi come fenomeno patologico.
Penso infine a una misura destinata a ingolfare una macchina già in panne, come la moltiplicazione dei giudici che dovrebbero decidere la custodia cautelare in carcere.
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