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Narrazione Gomorra. Basta dare ai ragazzi i derivati degeneri del bestseller di Saviano

Nando dalla Chiesa il . Campania, Criminalità, Cultura, Giovani, Mafie, Società

Forse è arrivato il momento di dire l’indicibile.

Sì, perché il governatore della Campania Vincenzo De  Luca avrà pure molti difetti, ma ogni tanto dice cose sacrosante e necessarie. Come quando evocò il lanciafiamme contro i  festazzoni di laurea in pieno Covid, per esempio.

Più recentemente, a proposito di Caivano e dintorni, ha fatto un’osservazione che deve essere apparsa un po’ scontata, visto che nonostante la drammaticità del momento non ha suscitato alcun dibattito. Ma che scontata non è per niente.

Ha detto, vado a memoria, che quanto accade in Campania ha alle spalle almeno dieci anni di racconto pubblico sulla camorra che non poteva non portare a questo. Si riferiva a quella narrazione che in gergo si chiama di “Gomorra”, con ciò intendendo non il libro primigenio di Roberto Saviano ma tutta la letteratura giornalistica, televisiva, narrativa, saggistica, cinematografica, che ne è derivata.

Che – conformismo dopo conformismo, opportunismo dopo opportunismo – ha portato a intasare l’immagine di Napoli e della Campania di personaggi, gesta, simboli, linguaggi propri dei giovanotti di camorra in tutte le salse. Anche i tatuaggi vengono copiati, ha esclamato il governatore, per sottolineare i processi emulativi e di fascinazione suscitati da questa immensa e insaziabile (di profitti) narrazione.

Ha ragione. Celebrando eroi negativi si è ormai consolidato un unicum culturale omogeneo, un impero mediatico della narrazione camorristica, come a suo tempo non riuscì nemmeno al Padrino. Il quale lasciò certo la sua eredità iconica e musicale, che ancora oggi attrae i turisti più citrulli. Ma non informò di sé per più di un decennio il racconto della vita pubblica di una delle più grandi e simboliche città italiane.

Di fatto è successo qualcosa di straordinariamente interessante sul piano letterario-antropologico: in perfetta simmetria con “’o sistema” della camorra (il Sistema 1) è nato un sistema “Gomorra”, fondato sul primo (il Sistema 2). Il quale con il pretesto di denunciare la violenza dei clan e di applicare un nuovo realismo alla narrazione dei mali di Napoli e della Campania, ha fatto di quei mali un romanzo in servizio permanente effettivo. Affascinante per tanti giovanissimi, soprattutto tra i gruppi sociali diseredati.

Accade sempre così quando si racconta una società amputata, cioè non vera. Quando viene proposta una realtà fatta esclusivamente di criminali in lotta con altri criminali, dove la società civile non esiste e lo Stato – se mai compare – è corrotto. Succede che il pubblico tifi per don Vito Corleone in lotta con i nuovi boss che lo vogliono morto perché si oppone al traffico di stupefacenti.

È bene sottolinearlo: non c’è nessuna verità scomoda che venga denunciata dal Sistema 2. Diciamo piuttosto che il miraggio dei profitti ha trascinato verso esiti catastrofici una narrazione che agli inizi sapeva di coraggio e di denuncia.

Per tre-quattro anni misi “Gomorra” tra i libri consigliati del mio corso in Sociologia della criminalità organizzata. Per qualche tempo andai anche a leggerne brani nelle piazze, perché di fronte alla voce che l’autore fosse a rischio di attentati scegliemmo in molti di non lasciarlo solo.

Non potevo immaginare che da quelle emozioni solidali si sarebbe scatenata una progressione di cultura acritica ed autocelebrativa che avrebbe rovesciato il senso di quella parola nel suo contrario. “Gomorra” non più come denuncia ma come propagazione irresponsabile.

C’è bisogno di resettare tutto. Di guardarci tutti allo specchio, nessuno escluso. Di dare ai ragazzi di Napoli l’amore che diedero loro con ben altro coraggio i maestri di strada, esempio – essi sì – di innovazione e anticonformismo. Di domandarci se per caso non abbiamo creato un mostro.

Anzi, ora che sono alla fine dell’articolo cancello il “forse” con cui l’ho iniziato. Per desiderio di logica, per necessità di coerenza.

Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 25/09/2023

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