Gasparri smentito sul “caso Di Trapani” ma resta il nodo dell’attacco della politica alla stampa in Italia
È la diversa valutazione delle notizie del mondo del lavoro che colpisce, stride, offre spunti per considerare cosa davvero si stia facendo in questo momento per l’occupazione e la qualità del lavoro in Italia.
Succede che un parlamentare di lungo corso, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, da settimane si occupi di un lavoratore, un giornalista, un sindacalista, non uno qualunque, ma Vittorio Di Trapani, oggi Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, redattore ordinario in Rai, dove fino a poco tempo fa ha svolto anche il ruolo di segretario del sindacato interno, l’Usigrai.
Con una interrogazione Gasparri ha chiesto delucidazioni per capire se fosse vero che Di Trapani avesse svolto le mansioni di caposervizio pur non avendo tale incarico e come mai fosse stato possibile in un’azienda pubblica. La risposta è arrivata dall’azienda pubblica, poi ritirata, poi rivista e riconsegnata.
In quest’ultima risposta viene chiarito che il redattore Di Trapani “a causa di una temporanea carenza di personale verificatasi presso una testata web e su richiesta della struttura di line competente…un redattore ordinario ha svolto per una durata circoscritta attività di monitoraggio della programmazione degli eventi sportivi e di supporto del nucleo sportivo con l’obiettivo di agevolare la divisione dei turni. Si precisa che le disponibilità a coprire i turni venivano successivamente trasmesse da quest’ultimo al caporedattore delegato a predisporre gli orari della redazione. Detta attività si è protratta per circa due mesi e, anche in considerazione delle modalità di svolgimento, non ha determinato i presupposti per il riconoscimento di una qualifica superiore. Si rappresenta infine che nessuna contestazione di natura sindacale è stata indirizzata nei confronti della scrivente società in relazione a tale vicenda e che i Vertici aziendali ne sono venuti a conoscenza a seguito del deposito dell’interrogazione parlamentare oggetto di riscontro”.
È già on line la controreplica del senatore. Questa: “Ringrazio la Rai per la risposta che ha dato alla mia interrogazione dalla quale si evince che avevo totalmente ragione. C’era in Rai un redattore ordinario che, in una testata, svolgeva una mansione superiore alla sua qualifica. La durata di questo fatto ed il mancato ricorso da parte dell’interessato sono questioni che non mi interessano e non mi riguardano. Io ho affermato una verità e questo fa emergere un comportamento singolare di chi, da sindacalista, dovrebbe tutelare i colleghi ed invece, in realtà, ha violato lui stesso delle regole comportamentali. Di questa cosa torneremo a parlare”.
Ora, una deduzione appare chiara: per settimane il senatore ha infangato un giornalista, affermando un fatto che non risulta nemmeno all’azienda, ossia l’usurpazione del ruolo di caposervizio.
Ma il nodo di fondo di questa storia è che un politico di elevatissimo calibro sta attaccando frontalmente il presidente della Federazione della Stampa e ne potrebbe conseguire, come forse era nell’intenzione originaria, una delegittimazione dell’intera categoria. Per la serie: se bluffa il capo dei giornalisti italiani, figuriamoci tutti gli altri.
Non è stato ancora detto, ma non è escluso che lo si potrà dire di qui a breve, nel solco di un tentativo più generale della politica di mettere in difficoltà la stampa, quella considerata non amica naturalmente e con l’esigenza di voler controllare l’informazione.
Sarebbe un’ipotesi fantasiosa in democrazia. Ma nella democrazia italiana sono già vigenti tante ipotesi assurde. Tipo: ministri che querelano i giornalisti perché scrivono delle loro attività extraparlamentari (da imprenditori), sussistono un precariato e uno sfruttamento dilaganti nel mondo dell’informazione tante volte sottolineati dal sindacato dei giornalisti ma mai presi in alcuna considerazione dalla politica.
In generale il mondo del lavoro in Italia vive condizioni di sfruttamento paurose in tutti i settori e lo ha denunciato la stessa Commissione parlamentare, senza che ciò abbia fatto rumore, senza interrogazioni sulle mansioni. E questo offre la misura della distanza tra la politica, i parlamentari, e la realtà della condizione di milioni di lavoratori che non hanno la più pallida idea di cosa significhi né su cosa impatti un cambio di mansione di due mesi alla Rai Tv.
Fonte: Articolo 21
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