Calligaris, Mangione e Tommasi. Lo sport, se ha la faccia pulita, avrà ancora un futuro
I colpi di fortuna esistono davvero. E non capitano solo a Gastone Paperone. Me ne è capitato uno splendido e leggero alcuni giorni fa.
Quando nell’arco di poche ore ho potuto ascoltare “in presenza” tre persone che molto hanno dato e stanno dando allo sport italiano. Tre generazioni diverse per tre discipline diverse: nuoto, atletica, calcio. Si chiamano Novella Calligaris, Alice Mangione e Damiano Tommasi.
Dovevano discutere di mafia e sport o almeno aiutare un’aula universitaria a ragionarne con più consapevolezza. E lo hanno fatto nel modo più alto. Ossia parlando poco di mafia e tantissimo di sport.
Restituendo a chi c’era il senso della parola e il valore culturale della pratica sportiva, che tifoserie malavitose, codardie societarie e avidità di ogni tipo si ingegnano ogni giorno di sfregiare.
Proprio così. È stato bello sentire evocare lo “spirito olimpico” da Novella Calligaris, prima medaglia olimpica nella storia del nuoto italiano, recente protagonista – per i cinquant’anni del proprio primato mondiale sugli 800 stile libero – di una suggestiva traversata a nuoto dello Stretto di Messina in nome dell’abbattimento dei confini.
Quel termine irrotto improvvisamente nell’aula mi è giunto come freschissima sferzata. Da tempo non sentivo evocare lo spirito olimpico al di fuori di un evento olimpionico; per tracciare invece un modo di essere, di pensare. Per indicare un’etica, una cultura.
È stato bello sentire recitare dalla giovane Alice Mangione, velocista, campione mondiale della 4 per 400 mista, la formula del giuramento richiesto a chi è chiamato a rappresentare per la prima volta l’Italia nello sport. Aveva premesso che si sarebbe emozionata nel recitarla a memoria e, se così si può dire, è stata di parola. La sua commozione ha messo i brividi a chi le era vicino. E non senza ragione.
Perché poi ha tessuto l’elogio della fatica, ha raccontato di sé ragazza in una Niscemi senza strutture sportive e che a scuola nell’ora di educazione fisica è l’unica a portare la tuta, mentre le altre fanno quello che vogliono perché “è ora di svago”. O della sua solitudine a Palermo e poi a Roma, finalmente su piste vere, inseguendo il sogno della velocità, anche dopo una rottura dell’anca, senza cedere mai, perché anche questa è la forza dello sport.
È stato bello ascoltare Damiano Tommasi, simbolo alto della Roma operaia e a lungo rappresentante sindacale di tutti i calciatori d’Italia, e oggi a sorpresa sindaco progressista di Verona, usare una parola chiave per il calcio e per il pallone: poesia.
Perché mi ha rimandato subito a quella frase magica di Jorge Luis Borges, “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio“. Sì, poesia, altro che “è un affare, bellezza”. Ha spiegato che solo il pallone-poesia regala sogno e solidarietà, o fa sentire il dovere interiore di passare la palla al compagno più antipatico sperando che faccia bene, come non succede quasi mai nella vita.
Spirito olimpico, giuramento, poesia. Parole non retoriche, ma unite dalla consapevolezza profonda di essere il segreto di una vita giusta. E dall’idea che tra sport e malaffare non c’è partita, vincerà il primo perché è più forte.
Anche se è pur vero, come ha ricordato proprio Tommasi, che sotto il peso del malaffare è già morto uno sport un giorno assai seguito, l’ippica. E anche se ho il timore che pure il calcio possa per la stessa ragione morire un giorno di questo secolo, salvo fare riscrivere la sua storia da un bambino che prende a calci qualcosa per la strada.
Insomma si può essere, davanti alla crudezza dei fatti ottimisti, o meno. Ma una cosa è certa.
Se lo sport è quel che questi tre grandi atlete e atleti hanno descritto, esso va difeso senza indulgenze, teatro com’è di storia umana e di leggenda. Abbandonarlo alle mire della criminalità sarebbe, questo sì, un crimine. Contro l’umanità. Anche questo si può dire.
Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 18/09/2023
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Necrologi. Il più bello è per la signora Maria “Grazie per averci cresciuti a pane e storie”
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