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Gli appelli inascoltati di Saetta prima di essere ucciso dalla mafia

Giuseppe Martorana * il . Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Sicilia

Antonino Saetta lo presagiva, anzi lo annunciò con oltre un anno di anticipo che la sua nomina a presidente della terza sezione penale di Palermo poteva essere pericolosissima per lui.

Lo annunciò e lo scrisse, chiedendo una nuova nomina, ma la sua richiesta non venne ascoltata e anzi respinta. Era il giugno del 1987 quando il magistrato di Canicattì scrisse all’allora presidente della Corte di Appello di Palermo Pasquale Giardina chiedendo una diversa assegnazione, un anno e tre mesi dopo fu ucciso, assieme al figlio Stefano, sull’allora scorrimento veloce Canicattì-Caltanissetta, mentre si stava recando a Palermo.

Non era paura quella di Saetta, ma soltanto la consapevolezza che quel nuovo incarico lo avrebbe messo, come poi è stato, in forte evidenza e quindi in pericolo.

Sono due le lettere che Saetta scrisse al presidente della Corte di Appello di Palermo, la prima viene protocollata il 6 giugno 1987, dove il magistrato scrive: “Il sottoscritto Antonino Saetta, presidente di sezione trasferito a questa Corte da quella di Caltanissetta, con la presente ripropone all’Eccellenza Vostra l’istanza, oralmente formulata lo stesso giorno della immissione in possesso (3 giugno) ad essere destinato, quale presidente titolare, alla 3^ sezione penale di questa Corte, dal momento che tale sezione risulta priva di un presidente titolare”.

Quella lettera non ottenne risposta, anzi venne confermata la nomina alla presidenza della prima sezione penale.

Antonino Saetta si arma nuovamente di carta e penna e scrive una seconda lettera, questa volta maggiormente dettagliata ed indirizzata sempre al presidente della Corte di Appello.

“Il sottoscritto già con istanza del 6 giugno aveva chiesto al presidente della Corte d’Appello di essere assegnato alla III^ sezione penale della Corte, priva di presidente titolare. Tale istanza – ha continuato Saetta – sembra sia stata disattesa per la ritenuta necessità, ovvero opportunità, di coprire con precedenza il posto di presidente della I^ sezione della corte di Assise d’Appello, ma se questi sono i motivi per cui si nega l’assegnazione alla III^ sezione penale ordinaria, il sottoscritto deve amaramente rilevare che un tale criterio di privilegiare la Corte di Assise d’Appello rispetto alle sezioni penali ordinarie non è stato adottato con i presidenti di sezione che lo hanno preceduto nella destinazione a questa Corte, tutti destinati alle sezioni penali ordinarie nonostante le due sezioni di Corte d’Assise d’Appello fossero prive di presidenti titolari”.

Antonino Saetta si sente amareggiato, deluso e in pericolo. Ecco come prosegue la sua lettera: “Resta incomprensibile il motivo per cui il sottoscritto non viene assegnato alla III^ sezione penale ordinaria e magari come supplente alla Corte di Assise d’Appello. Il sottoscritto che proviene da Caltanissetta, ove per oltre due anni ha presieduto quella Corte di Assise d’Appello che, tra gli altri, ha trattato il ben noto processo di mafia relativo alla strage del consigliere Rocco Chinnici e della sua scorte (processo difficile, sofferto e di particolare impegno) avrebbe gradito non continuare a trattare procedimenti di competenza delle Corti d’Assise, senza con ciò pretendere di sottrarsi al proprio dovere, che ha sempre adempiuto anche quando comportava rischi ed impegni particolari. Ora – conclude Saetta – non si vede perché, pur essendovi la possibilità di essere destinato ad una sezione penale ordinaria debba, invece, essere assegnato alla Corte d’Assise di appello, tanto più che il sottoscritto, appunto per avere trattato a Caltanissetta il grave processo di mafia conclusosi con la conferma degli ergastoli per i fratelli Greco e con l’inasprimento delle pene per gli altri imputati si presenta con una connotazione che lo espone a rischi maggiori di altri”.

Antonino Saetta non le ha mandate a dire, le ha scritte. Ha scritto i suoi dubbi, le sue perplessità, ma soprattutto le preoccupazioni per la sua persona.

Diciotto giorni dopo e precisamente il 6 luglio del 1987 il consiglio giudiziario presso la Corte di Appello di Palermo composto dal presidente Pasquale Giardina, dal procuratore generale Vincenzo Pajno e dai magistrati Giovanni Nasca, Aldo Lo Presti Seminerio, Antonino Scarpulla, Filippo Picone e Gioacchino Natoli nomina Antonino Saetta presidente della I^ sezione della Corte di Appello, respinge le richieste che Saetta aveva presentato motivandole così: “Nessuno degli aventi diritto ha chiesto di essere assegnato alla presidenza della I^ sezione della Corte di Assise di Appello. Lette le deduzioni avanzate dal dott. Saetta avverso la proposta che lo assegna alle funzioni di presidente effettivo della sezione di cui sopra; ritenuto, in linea di principio e all’unanimità, che non sono condivisibili le argomentazioni del cennato magistrato, secondo le quali egli avrebbe titolo ad essere assegnato alla presidenza effettiva della 3^ sezione penale della Corte di Appello (del pari allo stato priva di titolare) sul rilievo che, nella sede di provenienza, ha già fatto parte – quale presidente – della Corte di Assise di Appello che ha confermato l’ergastolo inflitto in primo grado ai noti fratelli Michele e Salvatore Greco. Infatti, ove si accedesse, malauguratamente, ad una siffatta prospettazione, potrebbe verificarsi – in un prossimo futuro – una situazione di grave disagio oggettivo nel formare le tabelle della Corti di Assise, atteso il considerevole numero di gravi processi contro la criminalità organizzata di tipo mafioso che vengono trattati in questo Distretto. A parte la considerazione – così conclude il consiglio giudiziario – che non può minimamente ammettersi che la trattazione di un solo (per quanto grave) processo della specie, possa dar luogo a pretesi ‘diritti’ di avvicendamento in talune – per quanto delicate – funzioni di giustizia”.

Antonino Saetta viene quindi nominato presidente della Prima sezione della Corte di Assise di Appello. Il 14 ottobre del 1987 il Consiglio Superiore della Magistratura ratifica la nomina. Quasi undici mesi dopo Saetta viene ucciso. Era la sera del 25 settembre del 1988.

Antonino Saetta da presidente della I^ sezione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo si occupò di altri importanti processi di mafia, in particolare presiedette il processo relativo alla uccisione del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, che vedeva imputati i pericolosi capi emergenti Vincenzo Puccio, Armando Bonanno e Giuseppe Madonia.

Pochi mesi dopo la conclusione del processo, e pochi giorni dopo il deposito della motivazione della sentenza che aveva condannato all’ergastolo gli imputati, Saetta fu assassinato, insieme con il figlio Stefano, attorno alla mezzanotte del 25 settembre 1988. Stava facendo ritorno a Palermo, dopo aver trascorso il fine settimana a Canicattì ed avere assistito al battesimo di un nipotino. Era domenica e viaggiava con il figlio sulla scorrimento veloce che da Canicattì va a Caltanissetta sulla sua Lancia Prisma.

I killer entrarono in azione all’altezza del viadotto Giulfo affiancarono l’auto del giudice. Erano con una Bmw e spararono con due mitragliette calibro 9 parabellum; l’auto del giudice sbandò, andando a sbattere contro il guard rail, mentre i killer scesero dalla Bmw e continuarono a crivellare di colpi le due vittime, fino ad ucciderle: in totale furono sparati 47 colpi. Subito dopo, la Bmw servita per l’omicidio (che risultò rubata ad Agrigento una decina di giorni prima da un ladruncolo che poi venne assassinato per non lasciare testimoni) venne portata in una campagna a circa due chilometri di distanza dal luogo del delitto e lì data alle fiamme.

Nel 1996 sono stati condannati all’ergastolo, dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, per il duplice efferato omicidio, i capimafia Salvatore Riina e Francesco Madonia come mandanti, e il killer Pietro Ribisi come esecutore materiale; gli altri due esecutori, Michele Montagna e Nicola Brancato, e il basista dell’agguato, il boss di Canicattì Giuseppe Di Caro, non sono più processabili perché tutti morti. La condanna, confermata nei successivi gradi di giudizio, è passata in giudicato.

L’assassinio, ritenuto un “favore” delle cosche agrigentine ai capimafia palermitani Riina e Madonia, presenta un triplice movente: “punire” un magistrato che, per la sua fermezza nel condurre il processo Basile, e, prima, il processo Chinnici, aveva reso vane le forti pressioni mafiose esercitate; “ammansire” con un’uccisione eclatante, gli altri magistrati giudicanti allora impegnati in importanti processi di mafia; “prevenire” la probabile nomina di un magistrato ostico, quale Antonino Saetta, a Presidente del cosiddetto maxi processo d’appello.

Fonte: Centro Studi Pio La Torre

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