Con le carriere separate salta l’autonomia dei pm
La separazione delle carriere fra Pm e giudici è una vera ossessione dell’Unione Camere penali da più di un ventennio: oggi anche del ministro Nordio, auto proclamatosi (senza lasciti testamentari…) erede di Silvio Berlusconi, la cui storia è un’antologia di invettive pesantissime contro i magistrati all’interno di una compulsiva strategia di delegittimazione.
Ora la separazione è pronta per decollare e il premier Giorgia Meloni potrebbe cambiare la denominazione del dicastero di via Arenula, chiamandolo “ministero della giustizia e delle bonifiche”, se volesse assecondare quelle che sembrano essere le linee programmatiche di Nordio.
Il tema della separazione è strettamente connesso a quello delle garanzie. Il processo infatti è luogo di decisione, ma prima ancora di accertamento. Perciò richiede forme e percorsi garantiti, perché quando si tratta della libertà delle persone e di altri valori fondamentali la prudenza non è mai troppa. E il garantismo è un sistema equilibrato di regole poste a presidio dei diritti e della dignità delle parti coinvolte nel processo.
Il sistema processuale varato nel 1989, con le successive modifiche, in astratto appare equilibrato ed egualmente rispettoso delle esigenze della parte pubblica e di quella privata; più difficile dire cosa accade in concreto, soprattutto per la evidente eterogeneità delle situazioni.
Esiste certo una significativa forbice tra rinvii a giudizio e condanne: ma la mancata coincidenza tra i due dati, oltre che fisiologica (è nei regimi autoritari che l’accusa ha sempre ragione…), indica infatti, casomai, la capacità del sistema di vagliare in maniera imparziale le ragioni dell’accusa e quelle della difesa, non lasciandosi condizionare dalle prime, ove non emerse in sede dibattimentale.
Gli sponsor della separazione modello Nordio-Camere penali (due concorsi, due Csm, due carriere diverse per giudici e Pm) sostengono invece che il sistema è inquinato dallo strapotere dell’accusa, causato dall’attuale colleganza, per l’omogeneità di status, tra giudicanti e requirenti.
Si dice che un giudice non controllerebbe con sufficiente rigore l’operato di un Pm che è suo collega, mentre uno status diverso e separato lo libererebbe dai condizionamenti dell’accusa e arginerebbe abusi e strapotere di quest’ultima. Argomenti che la vulgata corrente riassume nel mantra che Pm e giudici (ma non mi dica, signora mia!) prendono il caffè insieme.
Tesi tanto suggestiva quanto errata: se nel processo fosse necessaria una eterogeneità di estrazione e di appartenenza tra controllori e controllati, ad essere separate dovrebbero essere anche le carriere dei Gip dai giudici di primo grado e di questi dai giudici di appello e poi di cassazione.
Ciò che nessuno ragionevolmente propone – neppure le Camere penali con annesso Nordio – perché in tal caso la separazione comporterebbe non due ma ben cinque concorsi, cinque Csm e cinque carriere diverse. Assurdo, ma al tempo stesso chiara dimostrazione che manca una rigorosa coerenza rispetto ai principi base strillati per giustificare la separazione: si preferisce invece brandire un tabù ideologico buono per regolare i conti coi Pm scomodi in quanto troppo indipendenti.
È evidente infatti che l’ancoraggio del Pm alla cultura della giurisdizione è, nel nostro sistema, un elemento di garanzia irrinunciabile (che sarebbe inevitabilmente travolto dall’attrazione in una diversa cultura).
Perché un corpo separato di Pm è destinato inevitabilmente a perdere la propria indipendenza dal potere esecutivo: non esiste, infatti, un tertium dotato di autonomia tra ordine giudiziario ed esecutivo e non è democraticamente ammissibile l’irresponsabilità politica di un apparato di funzionari pubblici numericamente ridotto – circa 2.000 unità – altamente specializzato e preposto in via esclusiva all’esercizio dell’azione penale: questo potere o è compensato dall’ancoraggio dei suoi titolari alla giurisdizione, o viene inesorabilmente risucchiato nella sfera della responsabilità politica. E fa una gran differenza, per esempio di fronte ai misteri dei servizi deviati o ai casi di abusi ad opera di forze di polizia, avere un Pm-giudice o un Pm-ministeriale.
Sostiene Nordio che la sola propaganda presente nei suoi programmi sarebbe la “propaganda fide”, intesa come fede nella certezza del diritto. Dimostri che la sua “fede” riguarda anche l’indipendenza della magistratura, non patrimonio di casta ma dei cittadini, in quanto speranza che la legge possa davvero diventare più uguale per tutti.
Fonte: La Stampa
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