Strage di Bologna, Colosimo tace sulla ‘matrice neofascista’: non poteva essere più chiara
Diceva Agatha Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza. Ma tre indizi sono una prova”. E noi siamo decisamente a più di tre.
Il post con il quale la presidente della Commissione antimafia, on. Chiara Colosimo, commemora la strage di Bologna non potrebbe essere più chiaro, in quel che non dice, ma ormai ci siamo abituati a fare attenzione più a questo che ad altro, nel dilagare confuso e rumoroso delle parole vuote.
Nel post, pubblicato su Instagram, adopera il termine “terrorismo” senza però aggiungere quelle due parole che oggi più che mai fanno la differenza, tracciando un confine semantico e culturale tra due Paesi sempre più distanti: “matrice neofascista”.
La scelta della Colosimo per altro è, come sempre, in linea con quanto espresso dalla sua mentore e leader Giorgia Meloni: nemmeno lei ce la fa e scrive genericamente “strage” nel comunicato pubblicato dalla presidenza di Palazzo Chigi. Queste affermazioni arrivano in scia ad alcuni episodi inquietanti e strettamente connessi:
– la proposta di legge per la istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta presentata qualche giorno fa dall’on. Mollicone (più altri sette) di Fratelli d’Italia, finalizzata, tra l’altro, a verificare la cosiddetta pista “palestinese”: a Bologna non c’entrerebbero neofascisti, piduisti e agenti infedeli dello Stato, ma terroristi palestinesi in combutta con altri terroristi sovversivi europei e sudamericani, in barba al “Lodo Moro”;
– il goffo tentativo del ministro Nordio di alimentare l’ipotesi della nullità assoluta del processo di primo grado che ha condannato all’ergastolo Gilberto Cavallini, per la strage di Bologna;
– ma soprattutto quella dannata foto, per la quale la Colosimo non ha dato una risposta convincente e infatti nessuno ha archiviato la questione. La foto risale a una decina di anni fa, nella quale la Colosimo viene ritratta in atteggiamento particolarmente confidenziale con il pluriomicida ex Nar Ciavardini, ora condannato a trent’anni per la strage di Bologna. Del confine tra attività politica nelle carceri a favore del reinserimento sociale dei detenuti e confidenza ho già scritto, nella speranza (frustrata fin qui) che la presidente spieghi proprio quel trasporto emozionato e garrulo che traspare dal suo volto (dal suo, perché in vero quello di Ciavardini è alquanto impietrito).
Tutti questi allarmi sono stati a più riprese denunciati dal presidente dell’Associazione famigliari delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, e anche (in ultimo proprio in relazione al comunicato della presidenza del Consiglio) dall’Anpi. Queste parole, dette e taciute, stridono oggi tanto di più avendo ascoltato quelle forti e nette del presidente della Repubblica Mattarella indirizzate ai famigliari e agli italiani tutti, in occasione dell’anniversario della strage di Bologna.
Parole che senz’altro faranno infuriare nuovamente alcuni opinionisti di chiara fama, perché di nuovo il presidente, dopo aver chiarito come la magistratura abbia accertato definitivamente la matrice neofascista della strage, ha fatto riferimento ad “associazioni segrete” e ad “agenti infedeli dello Stato” che hanno garantito coperture e “ignobili” depistaggi. Le parole di Meloni e Colosimo non soltanto scavalcano intenzionalmente la verità giudiziaria stabilita dalla Cassazione, il che dovrebbe già essere sufficientemente grave in considerazione dei ruoli ricoperti (in particolare dalla presidente della Commissione antimafia che pare così inaugurare un rapporto “a corrente alternata” con la magistratura: eccellente quanto manda assolti gli uomini dello Stato dalle imputazioni nel processo “Trattativa”, trascurabile quanto fissa le responsabilità dei neofascisti per la strage di Bologna), ma sono in sintonia con un movimento culturale più profondo e più pericoloso.
Quel movimento culturale che vuole erodere radicalmente il principio costituzionale fondamentale della Repubblica italiana, e cioè che la Repubblica è nata come reazione al fascismo. Ovvero che la Costituzione italiana è antifascista per genesi (con buona pace della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato La Russa). A chi si chiedesse se rilevi ancora concretamente nella vita quotidiana degli italiani questa “Sta rottura de c**oni dei fascisti” (per citare l’amico Pippo Civati), rimando a una questione soltanto: l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, condizione necessaria (non sufficiente) di uguaglianza davanti alla Legge.
Infine: poco conforto danno le intenzioni ribadite dalle presidenti all’unisono, Giorgia&Chiara, di accelerare la pubblicazione (nell’archivio centrale dello Stato) dei documenti declassificati sulle stragi. Perché il problema, e lo abbiamo capito fin dalla “circolare Renzi”, sta nel manico e cioè nel meccanismo di declassificazione che rimane saldamente ancorato alla discrezionalità degli apparati.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
*****
Valorizzare i beni confiscati alle mafie è un segnale di legalità. E il governo che fa? Taglia!
Trackback dal tuo sito.