Dispersione scolastica e disagio giovanile. Accoglienza ed ascolto, ma senza pregiudizi
Naturalmente condivido appieno l’analisi esposta nelle interviste pubblicate sul quotidiano “il Mattino”, di Napoli nei giorni scorsi a proposito della dispersione scolastica da parte di Moreno, Laino, Parrello e Rossi Doria.
Ma sento l’urgenza di aggiungere qualcosa a partire dall’esperienza di psicologo, di docente, poi incaricato presso il Provveditorato agli studi di Napoli, ai tempi del provveditore Gennaro Fenizia, e successori, e di collaboratore negli anni ‘90 con la cattedra di Adele Nunziante Cesaro alla facoltà di psicologia.
C’è qualcosa di cui non si tiene conto nelle tante analisi che si fanno sul “disagio” di giovani studenti nel sistema scolastico attuale.
Si è via via attenuata l’attenzione sulle difficoltà anche di tipo psicologico di tanti ragazzi cosiddetti difficili.
Non si tratta solo di evidenti carenze culturali di chi proviene da famiglie più disagiate, inadatte o incapaci di prestare la necessaria attenzione non solo alla frequenza scolastica di questi alunni ma anche alle evidenti problematiche relazionali con insegnanti o compagni dello stesso percorso dell’iter formativo, fatti salvi gli sforzi dei tantissimi docenti capaci di accogliere e pronti a sostenere quelli più a rischio di abbandono o anche solo di “rimanere indietro” rispetto alla maggioranza della classe.
Ricordo un’esperienza fondamentale che facemmo insieme, proprio io con Cesare Moreno, quando, grazie alla sensibilità di provveditori dell’epoca, inventammo la figura degli “operatori psicopedagogici”, contando sull’impiego di tanti docenti con una competenza seconda in Psicologia o Pedagogia, all’epoca di D’Onofrio e poi Luigi Berlinguer ministri della pubblica istruzione.
Vi fu certo una stagione particolare anche dal punto di vista amministrativo per “utilizzare” quei docenti selezionati, a Napoli, dall’Ufficio Studi e Programmazione di Piazzetta Matilde Serao, con l’aggiunta di una severa formazione in itinere anche d’intesa con la facoltà di pedagogia guidata da Eliana Frauenfelder.
Ed ora non tocca a me certo avanzare delle proposte concrete che ricalchino creative esperienze amministrative passate, anche se in molte Regioni ci sono esperienze di operatori a livello territoriale, grazie alla legge 107 del 1993.
Ma certo può essere utile qualche riflessione.
I disagi a cui accennavo hanno sicuramente un peso non indifferente sugli aspetti motivazionali di tanti alunni. La relazione spesso difficile o distorta con docenti, impegnati nel giusto rispetto di programmi di studio, rischiano di portare all’autoesclusione se non anche all’organizzazione di un mal concepito contrasto con le regole del gioco, per quei ragazzi che poi vengono definiti “a rischio”.
Ma si tratta di un rischio che corre anche tutta la comunità se diventa “disattenta” salvo poi a rammaricarsi per i fenomeni di allontanamento, abbandono, incapacità per molti di ricercare un “sensus sui” nello studio o nel possibile lavoro anche precoce. Suona in maniera altisonante ed apparentemente innocua la definizione di NEET. Ma manca forse un’attenta analisi delle molteplici cause che la determinano e fors’anche delle probabili strategie molteplici di contrasto.
Dunque che facevano quegli “operatori psicopedagogici”, presenti in tantissime scuole. Intanto erano delle “sentinelle” del disagio nelle sue varie forme. Partecipavano ai consigli di classe, ascoltavano le richieste di aiuto innanzitutto di insegnanti intenzionati a recuperare gli alunni più in difficoltà. Tante volte li seguivano in percorsi personalizzati, giungendo a contattare direttamente le famiglie, spesso anch’esse bisognose di aiuto per “capire” o fare qualcosa ed altre figure importanti di riferimento del territorio, da sacerdoti ad assistenti sociali.
Gli esiti, ovviamente non erano sempre scontati o di successo, ma l’esperienza nel suo complesso era decisiva e “gravida di futuro”.
Voglio ricordare in particolare la mia personale esperienza. Alla scuola Moscati di Secondigliano mi feci mettere a disposizione un’aula sulla cui porta affissi un cartello innocente: “Parliamone”. E lì venivano spontaneamente a parlare con me tanti alunni oppure venivano indirizzati dai docenti. Era un luogo di accoglienza senza giudizi o pregiudizi.
E qualche percorso si inaugurava, intanto accogliendo alunni che apprezzavano un interessamento personalizzato, per comprendere difficoltà non solo scolastiche, ma di vita e di relazioni insoddisfacenti in classe, in famiglia, nella comunità.
E comparivano ragazzi con i padri in galera, di cui magari nessuno sapeva, ragazze con precoci sfortunate esperienze affettive…alunni con alle spalle un retaggio atavico di analfabetismo, bisognosi di una relazione più specifica ed attenta da parte dei loro docenti …
Non conosco nè ho la presunzione di avanzare proposte per l’oggi, ma certo di una maggiore consapevolezza c’è bisogno in cerca di soluzioni d’aiuto. Credo che l’Ordine degli psicologi si stia attivando in tal senso e sarebbe importante anche l’attenzione dell’ordine dei sociologi. Ce n’è urgenza per non limitarci alla lamentazione, alla denuncia o alla sconfitta.
Altrimenti i NEET siamo noi…
* Presidente AsCenDeR-Centro Documentazione e Ricerca
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