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Giustizia. Pericoli per la democrazia

Gian Carlo Caselli il . Cultura, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

Il semplice accenno alla possibilità che riaffiori il pericolo di una qualche riedizione del regime fascista (non necessariamente con orbace e mascella indurita: anche solo come mentalità e tendenza all’autoritarismo arrogante e prepotente) significa oggi  rischiare concretamente l’accusa di nemico della patria, perciò da isolare perché non faccia troppi danni.

Punto di partenza è che la vigente Costituzione (antifascista, con buona pace del presidente del Senato…) disegna una democrazia pluralista, basata sul primato dei diritti eguali per tutti e sulla separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma con reciproci bilanciamenti e controlli.

A questa concezione di democrazia se ne vorrebbe sostituire un’altra: basata sul primato della politica (meglio, della maggioranza politica del momento) e non più sul primato dei diritti.

Ma attenzione: se è vero che in democrazia la sovranità appartiene al popolo (per cui chi ha più consensi, chi ha la maggioranza, ha il diritto-dovere di operare le scelte politiche che vuole), è altrettanto vero che ogni potere democratico  incontra – non può non incontrare – dei limiti prestabiliti. Tali limiti  presidiano una sfera non decidibile, quella della dignità e dei diritti di tutti: sottratta al potere della maggioranza e tutelata da custodi (una stampa libera e una magistratura indipendente) estranei al processo elettorale ma non alla democrazia.

Questa necessità di limiti (che la nostra Costituzione stabilisce fin dal suo primo articolo) è fondamentale in democrazia. Altrimenti, come già insegnava due secoli fa Alexis de Toqueville, può sempre essere in agguato la tirannide della maggioranza.  Un limite assolutamente invalicabile, in particolare, è rappresentato dal principio di legalità, in base a cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e nessuno può sottrarsi alla sua osservanza.

La vera democrazia garantisce spazi anche alle minoranze, spazi effettivi. Perché se questi spazi non sono effettivi, se la maggioranza che ha avuto più consenso si prende tutto, allora l’alternanza, che è la quintessenza, il dna della democrazia, viene ridotta a simulacro e la democrazia cambia qualità.

Informazione indipendente e pluralista e autonomia della magistratura

L’effettività di tali spazi dipende da tanti fattori, soprattutto il controllo sociale e il controllo di legalità. Controllo sociale significa informazione pluralista e indipendente. Controllo della legalità significa magistratura autonoma e indipendente.

Se io riduco il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione, il dilagare – oltre i limiti propri di una democrazia moderna – del potere della maggioranza è inevitabile. E si badi: vero è che da sempre  nel nostro Paese chi governa occupa porzioni consistenti dell’informazione pubblica (RAI), ma i nuovi governanti sembrano operare – per così dire – con la tecnica dei lupi famelici e insaziabili. Non il migliore viatico per un pluralismo decente.

Quanto alla magistratura sono sempre – come dire – dietro l’angolo riforme (meglio: controriforme ) pericolose.

In particolare, la cosiddetta separazione delle carriere. Che, al netto della propaganda, intacca l’indipendenza della magistratura. Ma ridurre l’indipendenza della magistratura, del Pubblico Ministero in modo particolare, significa che per legge – e in tutti i Paesi in cui c’è la separazione delle carriere questo accade, nessuno lo può negare ! – per legge qualcuno (cioè il potere esecutivo, il governo) potrà dare ordini o direttive alla magistratura.

Se la magistratura non è più indipendente o lo è di meno, la prospettiva (anche solo la speranza) che la legge possa essere eguale per tutti svanisce. Per cui, se  si riduce l’indipendenza della magistratura, cambia la qualità della nostra democrazia. Una democrazia è piena, o almeno ha prospettive di pienezza, soltanto se i cittadini possono essere uguali di fronte alla legge.

La posta oggi in gioco in sostanza è questa: è meglio il tipo di democrazia voluto dalla Costituzione, oppure quello che si sta cercando di sostituirgli? Quale dei due conviene di più ai cittadini?

Per proiettare questo interrogativo sulla concretezza dell’oggi  mi sembra assai opportuno l’invito di Luigi Ferrarella (Corriere della sera, 4 giugno 2023) a procedere come nel giochino della “Settimana enigmistica”, unendo singoli puntini per decifrare l’immagine risultante.

 I puntini da unire che elenca Ferrarella sono i seguenti:

  • se il presidente dell’ANAC mette in guardia contro subappalti e affidamenti sottosoglia, subito viene zittito come “prevenuto, non neutrale, non credibile, inadatto al suo o ruolo”;
  • i tecnici della Camera e del Senato vengono tacciati di essere “reliquie del passato che reggono il moccolo delle opposizioni per difendere lo status quo”, se –  rispettivamente – segnalano distorsioni nella riforma fiscale o stroncano il progetto di autonomia regionale differenziata;
  • se Bankitalia esprime perplessità sull’innalzamento del tetto all’uso dei contanti, scatta l’accusa di istituzione micragnosa nel voler lucrare commissioni sulla moneta elettronica;
  • se l’Ilva resta un problema, ecco estesa ad altre potenziali industrie di interesse strategico nazionale la franchigia da sequestri giudiziari e da inquinamento o malattie causati nel rispetto di prescrizioni governative;
  • se Agenzia delle entrate e GDF affrontano la piaga del 69,7% di propensione all’evasione fiscale che si registra fra gli autonomi, ecco che la premier non esita un istante ad accusarli – con incredibile disinvoltura; per di più a Catania e in campagna elettorale…-  di praticare “il pizzo di stato”;
  • almeno dieci volte, alla complessità del regime ordinario si è derogato nominando commissari straordinari (per  immigrazione, siccità, un’acciaieria, un’autostrada….);
  • se la Procura apre un’inchiesta per violazione di segreto (caso Del Mastro- Donzelli), il Governo pretende che sia segreto soltanto quel che pare a lui;
  • se la Corte dei Conti addita obiettivi del PNRR falliti o in palese ritardo (con il rischio di responsabilità erariali), il Governo la punisce togliendole il “controllo concomitante” e nello stesso tempo proroga la deroga che limita la responsabilità contabile; poi si giustifica dicendo che tanto restano i controlli ex post, ma si contraddice progettando di addomesticare l’abuso d’ufficio  contro le direttive europee.

Uniamo questi “puntini” e ne risulterà netta un’immagine che Ferrarella sacrosantamente definisce di “insofferenza ai controlli, certo, ma – più e prima ancora – insofferenza a qualunque rilievo anche solo dissonante”. In nome “della missione di liberare l’azione degli amministratori pubblici dalle pastoie burocratiche e dalle vessazioni togate che le paralizzerebbero”.

Gli ammonimenti di Calamandrei

Vorrei chiudere citando Calamandrei, là dove ammonisce che la Costituzione non è una macchina che va avanti da sola. Perché si muova bisogna ogni giorno metterci dentro il combustibile, cioè impegno e responsabilità. Per questo, dice Calamandrei, una delle peggiori offese che si possano fare alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, quella che spesso ci porta a dire che “La politica è una brutta cosa, che cosa mi importa della politica….”.

A Calamandrei questo discorso fa venire in mente una vecchia storiella: due migranti, due contadini, attraversano l’oceano su un piroscafo traballante; uno dorme nella stiva, l’altro sta sul ponte; c’è una grande burrasca, onde altissime; il piroscafo oscilla e il contadino impaurito domanda a un marinaio se c’è pericolo; il marinaio gli risponde che se continua così in mezz’ora il bastimento affonda; allora il contadino corre nella stiva, sveglia il compagno e gli grida: “Beppe! Beppe! Se continua questo mare, il bastimento affonda!”: ma quello gli risponde: “Che me ne importa, non è mica mio il bastimento!”.

Questo è, chiosa Calamandrei, l’indifferentismo alla politica. La vita è bella, viviamo in libertà, abbiamo da fare altre cose piuttosto che interessarci alla politica, che non è mica una bella cosa.

Però ( ecco la conclusione di Calamandrei) attenzione: “la libertà è come l’aria. Ci  si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai”.

* Fonte: Rocca n°14 – 15 luglio 2023

Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

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