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Nordio la pensa come Berlusconi e non come Falcone

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

Un Nordio al giorno toglie il giudice di torno. La parafrasi del noto motto salutistico vien bene a fronte della raffica di esternazioni del Guardasigilli Carlo Nordio.

Oggi tocca al concorso esterno in associazione mafiosa.

Ridotta all’osso la questione è chiara. Le mafie sono sì organizzazioni criminali di tipo gangsteristico (traffici di  armi, droghe e rifiuti tossici; pizzo; gioco d’azzardo; contraffazioni ecc.), ma non sono soltanto questo. Sono forti anche se non soprattutto per gli appoggi (coperture, collusioni, connivenze) di cui godono in settori  del mondo apparentemente legale.

Questo è il vero nerbo, la vera spina dorsale del loro potere. Che spiega come da oltre due secoli le mafie impestino il nostro Paese, cosa che nessuna banda di gangster al mondo è mai riuscita a uguagliare. Per cui se si colpisce soltanto l’ala militare della organizzazione criminale, risparmiando le relazioni esterne o zona grigia o borghesia mafiosa che dir  si voglia, l’antimafia ne risulterà inesorabilmente dimezzata e perdente.

Giovanni Falcone era ben consapevole di tutto ciò. Tant’è che nella ordinanza-sentenza conclusiva del maxi ter scritta il 17 luglio 1987 con gli altri magistrati del pool di Palermo, testualmente affermava: “(vi sono) manifestazioni di connivenza e di collusioni da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni (che) possono – eventualmente – realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti , sussumibili – a titolo concorsuale -nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso […] che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della  crescita di Cosa nostra e della sua natura di contropotere, nonché , correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali”.

Silvio Berlusconi era invece di tutt’altro avviso. Difatti, in due interviste del 4 settembre 2003 alla Voce di Rimini e al periodico inglese The Spectator, dichiarò che “a Palermo la nostra magistratura comunista, di sinistra, ha creato un reato, un tipo di delitto che non è nel codice; è il concorso esterno in associazione mafiosa (forse aveva in mente il processo a carico di Marcello dell’Utri, condannato a  sette anni di reclusione).

E il ministro Nordio, con chi sta?

Senza ombra di dubbio con Berlusconi. Anch’egli si dichiara convinto che il reato di concorso esterno non compare nel codice  penale, per aggiungere che è solo una interpretazione della giurisprudenza, un  reato evanescente, da rimodulare.

Ora, a parte che non riesco proprio a capire (ma non sono un ministro…) come faccia la giurisprudenza ad intervenire se non c’è già un  reato previsto e punito da una norma di legge da interpretare e applicare; a parte che neppure riesco  a capire come si possa pretendere di rimodulare un reato inesistente; a parte tutto questo, basta sfogliare un qualunque manuale di base per apprendere che la figura del concorso esterno in associazione mafiosa altro non è che una delle tante applicazioni concrete del concorso di persone, previsto per tutti i reati dall’art. 110 del codice penale. Quindi non uno strappo alle regole dell’ordinamento. Nessuno scandalo. Urlare il contrario equivale a non capire quel che si dice o capirlo persino troppo bene.

Quel che appare evidente è che il “nostro” Guardasigilli si muove e opera sotto l’insegna “Silvio è vivo e lotta insieme a noi”. Vale a dire che si considera epigono ed erede spirituale di Berlusconi in parole, opere e intenzioni.

Per non dire della tendenza (comune a Chigi e via Arenula, per di più con l’uso di veline anonime) di strillare al complotto di giudici politicizzati che vorrebbero sfruttare il caso del sottosegretario Del Mastro.

Mentre sarebbe piuttosto il caso di preoccuparsi della qualità della nostra democrazia costituzionale fondata sulla separazione dei poteri.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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