La necessità di un’agricoltura naturale
“Un paese che va in questa direzione è la Svizzera, dove sono previsti contributi non solo per i produttori che rinunciano all’uso di pesticidi e altre pratiche agricole nocive per l’ambiente, ma anche per chi coltiva includendo fra i propri obiettivi la bellezza del paesaggio. Un esempio da cui prendere spunto per un nuovo ruolo del pubblico e della politica al servizio dell’ambiente e della società”.
Si conclude con queste parole – a conferma di un approccio concreto e non soltanto teorico – il dossier “Da industriale a naturale: le 5 rivoluzioni per il cibo sano per tutti”, realizzato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo con la collaborazione di Terra Nuova.
Gli autori sono ben consapevoli che con l’agricoltura naturale “a causa dei raccolti più bassi per ettaro e per ore dedicate, i produttori sono costretti ad applicare prezzi di vendita più alti per garantirsi remunerazioni dignitose in linea con gli altri comparti economici. Ecco perché il consumo di prodotti ottenuti con metodi naturali viene ritenuto insostenibile da parte dei consumatori a basso reddito. Ma non è un destino inevitabile. Esistono modi per abbattere il prezzo finale dei prodotti alimentari, ma serve un cambio di mentalità rispetto al modo di procurarci il cibo, ai rapporti da intrattenere fra produttori e consumatori, ai rapporti che i produttori debbono instaurare fra loro stessi e anche al ruolo del soggetto pubblico”.
Coerente con questa visione il dossier fornisce indicazioni sulle vie da seguire per andare nella direzione di una più armoniosa relazione con il pianeta e tra gli 8 miliardi di persone che ci vivono.
Non si tratta soltanto di una scelta etica personale, ma di una rivoluzione collettiva necessaria, poiché dal capitalismo consumista “l’agricoltura è stata trasformata in un gigantesco tritacarne dentro il quale la terra è un semplice substrato da inondare di chimica per ottenere la crescita forzata delle piante; le sementi un’accozzaglia di molecole da modificare in base ai calcoli di migliore resa finanziaria; i lavoratori braccia da sfruttare; i consumatori anatre da ingozzare in base alla loro capacità di acquisto: a digiuno chi non ha soldi da spendere, all’ingrasso tutti gli altri”.
Talvolta le parole diventano pietre, che non si possono ignorare e sulle quale occorre riflettere seriamente: “L’agricoltura industriale è figlia della nostra superbia, del mito della nostra superiorità. L’agricoltura industriale guidata dal profitto non produce cibo per la vita di tutti, ma merci per l’arricchimento di pochi. L’agricoltura industriale va fermata perché uccide”.
Oggi qualcosa si sta muovendo: “Dopo aver saccheggiato il Pianeta in preda all’ubriacatura del «sempre di più», stiamo lentamente capendo che, se vogliamo garantirci un futuro, dobbiamo cambiare regime. Fondamentalmente dobbiamo accettare di consumare di meno e produrre in maniera più rispettosa dei cicli naturali. Ma sarebbe un errore pensare che il passaggio dall’agricoltura industriale a quella naturale richieda solo un cambiamento di tecniche produttive. Le ricadute sui livelli produttivi e sui prezzi richiedono anche cambiamenti di tipo sociale, in modo da evitare contraccolpi ai consumatori con meno soldi e ai produttori più fragili. Questo è il tema di cui ci occupiamo”.
Un dossier, ben illustrato, che spiega in modo semplice e sintetico le possibili vie per una significativa rivoluzione del comparto agricolo e non solo.
Ancora una volta il Centro Nuovo Modello di Sviluppo mette a disposizione di tutti un utile strumento informativo e si pone come punto di riferimento per chi vuole impegnarsi a cambiare.
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