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Ora Graviano smetta coi ricatti e inizi a collaborare davvero

Davide Mattiello il . Diritti, Giustizia, Mafie, Memoria, Politica, SIcurezza

Lunedì il cielo si è chiuso sulla testa di Giuseppe Graviano e chissà che il buio non porti consiglio.

Giuseppe Graviano, boss mafioso condannato in via definitiva come uno dei responsabili di vertice della Cosa Nostra guidata da Riina che seminò morte e terrore per l’Italia fino al 1994, ha giocato in questi ultimi anni una partita ambigua: non ha mai collaborato con lo Stato, preferendo lanciare di tanto in tanto messaggi dallo spiccato sapore ricattatorio.

Lo ha fatto soprattutto usando come amplificatore il processo “’ndrangheta stragista” celebrato a Reggio Calabria, che lo ha visto imputato (e condannato all’ergastolo in primo e secondo grado) come mandante degli omicidi dei carabinieri Fava e Garofalo commessi nel Gennaio del 1994, nell’ambito della strategia terroristica, posta in essere d’intesa con la ‘ndrangheta appunto.

Dosando attentamente affermazioni e contro-affermazioni, Giuseppe Graviano ha lasciato intendere di voler richiamare ai patti quegli interlocutori potenti che, fino al momento dell’arresto suo e di suo fratello Filippo a Milano il 27 gennaio 1994, avrebbero beneficiato prima dei soldi della sua famiglia e poi della sua capacità di fuoco, salvo poi dimenticarsene.

Questa impressionante strategia dallo spiccato sapore ricattatorio ha avuto una clamorosa accelerazione all’indomani della vittoria della destra alle politiche di settembre 2022, da quando cioè torna alla ribalta un personaggio già noto, non soltanto alle autorità ma anche al grande pubblico, come Salvatore Baiardo, il quale dopo aver tenuto diligentemente bordone per anni al fraseggio del boss con ripetute comparsate televisive, il carico da novanta ce lo mette a novembre 2022, prevedendo precisamente l’arresto di Messina Denaro, intervistato dall’indimenticato Giletti.

Da quel momento sembra scatenarsi una corsa contro il tempo, in una spirale di accadimenti che comprendono l’ingresso in carcere di Antonino d’Alì (già senatore e potente sotto segretario all’Interno, condannato in via definitiva per concorso esterno), l’effettivo arresto di Matteo Messina Denaro, che però è malato terminale e non ha (che si sappia) alcuna intenzione di parlare, la improvvisa sospensione del programma di Giletti da parte dell’editore Cairo, che ha recentemente affermato (intervistato dalla Fagnani al Festival della tv di Dogliani) di averlo chiuso perché costava troppo (punto!) e la nomina a presidente della Commissione parlamentare antimafia dell’on. Chiara Colosimo, nonostante una durissima presa di posizione di una significativa rappresentanza dei famigliari delle vittime del terrorismo e della mafia.

Una corsa contro il tempo, ma in direzioni diverse: chi corre per far capitare qualcosa e chi invece perché non capiti alcun che. Perché tutta questa fretta a fare, gli uni, e a disfare, gli altri? Non lo so.

Così come non so e nemmeno mi interessa speculare sulle parole straparlate di Giuseppe Graviano, che ad ora è soltanto un assassino che mai ha dato segni di ravvedimento. Mi limito ad una considerazione: se la strategia di Giuseppe Graviano è stata quella di ottenere qualche beneficio attraverso il ricatto, magari spostandosi (virtualmente) dalle Aule di Reggio Calabria a quelle di Firenze, ebbene è fallita per il venir meno del preteso interlocutore principale.

Ora a Graviano restano due strade: accomodarsi per il resto della vita in carcere oppure iniziare a collaborare per davvero con la magistratura. Ammesso che sia nelle condizioni di farlo e cioè di rendere informazioni (ancora) riscontrabili. Allora forse sarà davvero finita un’epoca.

Ma oggi no, non è finita un’epoca, ci stiamo dentro ed è un’epoca nella quale le cose raramente sono come appaiono e dove le parole spesso significano l’esatto contrario di quello che dicono. La verità è un bagliore fugace, che guizza in mezzo alla melma, come pesce argentato. E a noi non resta che starle dietro, perché non sappiamo in che altro modo si possa onorare la memoria di chi dalla melma è stato ammazzato, come quel Libero Grassi che l’imprenditore ha cerato di farlo senza mai pagare il pedaggio alla mafia.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello

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