Le stragi dei migranti, i conti con la Storia, il bisogno di scelte lungimiranti
Apprendiamo dell’ennesimo naufragio, questa volta a largo del Peloponneso, di un barcone con 750 persone a bordo del quale ne sono sopravvissute solo 108. Si trattava di persone di cittadinanza siriana, afghana, pakistana, egiziana, partite dalla costa cirenaica della Libia.
Le persone a bordo avevano lanciato l’allarme e Frontex aveva avvistato il barcone in difficoltà, affondato davanti alle motovedette greche che hanno giustificato il ritardo nell’intervento affermando che i migranti non volevano aiuto e volevano proseguire verso l’Italia, circostanza smentita dai ripetuti allarmi e richieste di aiuto.
Si stima che dal 2014, quando fu interrotta l’operazione Mare Nostrum, nel Mediterraneo siano morti più di venticinquemila migranti.
Invece di fare fronte a questa strage istituendo canali legali e sicuri di ingresso l’Europa si propone di finanziare i paesi da cui i migranti partono, illudendosi di poter fermare un fenomeno strutturale legato alle guerre, ai cambiamenti climatici, alla fame. Cercando di far restare le persone in paesi dove subiscono trattamenti inumani o degradanti e vengono rimpatriati, come sta facendo la Turchia che ha già rimpatriato migliaia di afghani e siriani.
Tutte le evidenze dicono che nessuna politica potrà fermare i flussi migratori finché non cessano le ragioni politiche ed economiche che spingono le persone a lasciare gli Stati di origine per cercare di sopravvivere.
Questa non è un’emergenza, ma un fenomeno strutturale di fronte al quale l’Europa ha il dovere di attrezzarsi per fermare l’incessante serie di tragedie e di morti, di fronte alle quali ogni parola è inadeguata: introducendo canali legali e regolati di ingresso (visti per ricerca di lavoro, per lavoro, per richiesta di asilo, ecc.) e istituendo subito un programma europeo di ricerca e salvataggio.
Rafforzare i legami con le milizie libiche e finanziare la guardia costiera libica, continuare a investire sull’esternalizzazione, come hanno concordato i governi UE, servirà solo ad aumentare il numero dei morti e ad arricchire i trafficanti di esseri umani.
Incanalando il flusso oggi irregolare nei canali regolari, nessuno sarà più costretto ad affidarsi a trafficanti e sfruttatori e a mettere in pericolo la propria vita per godere del diritto di asilo garantito dalla Costituzione italiana o per lavorare in Italia.
Come rilevato anche da Amnesty International e da tutte le principali organizzazioni che operano a tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati, il nuovo patto su migrazioni e asilo, su cui gli stati membri dell’Unione europea hanno trovato un accordo a inizio giugno, non prevede alcuna forma efficace di solidarietà e condivisione di responsabilità tra gli stati. Al contrario, rischia di ridurre gli standard di protezione, prevedendo lunghe detenzioni in centri chiusi predisposti nelle zone di frontiera e la possibilità di rinviare le persone in stati giudicati sicuri, ma che in realtà non lo sono affatto, insistendo sulle politiche di esternalizzazione e non sulla tutela dei diritti.
Prevedendo la possibilità di respingere chiunque arrivi alle frontiere europee verso Paesi definiti “sicuri”, si cancella la possibilità di chiedere asilo in Europa, si violano le convenzioni internazionali cui l’Europa ha aderito, prima tra tutte la Convenzione di Ginevra, e si violano i principi affermati dalla stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sui quali l’Unione dovrebbe fondarsi.
Invece di paventare inesistenti invasioni bisognerebbe tornare a ragionare di ciò che mette davvero in pericolo la sicurezza di tutti: il mutamento climatico, la guerra alle nostre porte, la crisi economica e demografica. Soprattutto quest’ultima dovrebbe sollecitare nuove riflessioni, utili a rilanciare sentimenti di solidarietà nell’ambito dei quali le migrazioni smettano di essere considerate solo problemi, ma siano apprezzate quali risorse, capaci di dare risposte complesse a problemi strutturali.
A cura dell’ Esecutivo di Magistratura democratica
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