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Giustizia. Le piaghe italiane e la scelta di non curarle

Gian Carlo Caselli il . Corruzione, Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Migranti, Politica, SIcurezza, Società

Per il problema dell’immigrazione, inestricabilmente intrecciato con la caterva di persone morte nel mar Mediterraneo, nessuno può illudersi di possedere ricette risolutive o miracolose. Soluzioni diverse, fra loro divergenti o confliggenti, sono purtroppo inevitabili a fronte di una situazione particolarmente intricata e complessa.

Quelle che seguono, perciò, sono poche, banali considerazioni ispirate – per così dire – al normale buon senso. Partendo da una nota autobiografica. Mia madre, Virginia Martino, era nata in Argentina, da genitori piemontesi (Pinerolo), emigrati per trovare lavoro, poi rientrati in Italia dopo avere guadagnato qualche soldo.

Per ricordare che anche noi italiani siamo stati migranti, ora accolti ora maltrattati e respinti. E ciò non qualche pleistocene fa, ma poco tempo addietro.

Tanto premesso, va detto che il nostro Paese (come tanti altri, beninteso) sta attraversando una fase di crisi economica resa difficile dall’impoverimento crescente causato da vari fattori, tra cui guerra, recessione, covid, siccità…

Impoverimento ingigantito dalla illegalità economica nelle sue principali declinazioni.

La terribile piaga dell’evasione fiscale ci causa ogni anno un danno di oltre 120 miliardi di euro (dato ufficiale). Sentiamo spesso dire che in Italia le tasse sono troppe e troppo pesanti, per cui molti non riescono a pagarle. Ma una cifra da capogiro come 120 miliardi di sicuro non si spiega soltanto con i difetti del fisco.

Ci sono fior di «ricconi» che non pagano le tasse perché non vogliono e i loro capitali li trasferiscono all’estero, impoverendo la collettività e ciascuno di noi.

Analoga e non meno drammatica è la realtà della corruzione. Una piaga che nel nostro Paese arriva a costarci tra 50 e 60 miliardi di euro ogni anno, con un danno spalmato su tutti noi, nel senso che ciascun italiano (neonati compresi) perde senza rendersene conto circa 1000 euro l’anno. Poi ci sono i danni non monetizzabili che colpiscono l’immagine del Paese, la fiducia verso le istituzioni, l’appeal dell’economia (non è facile investire con tanta corruzione…) e il futuro, soprattutto dei giovani.

Infine le mafie, che ogni giorno si arricchiscono grazie alle loro attività illecite (i traffici di droga, armi, esseri umani, rifiuti tossici; il gioco d’azzardo; il pizzo cioè il racket delle estorsioni; l’usura; le contraffazioni; gli appalti truccati…).

Si tratta di una liquidità che non conosce mai crisi. Ma per potersi godere questi soldi sporchi, le mafie li devono riciclare, investendoli in attività di per se stesse apparentemente legali. Riciclando riciclando, la malavita organizzata ha creato una potente economia parallela, una melma che si insinua dovunque, risucchiando nel suo vortice commerci, imprese e forze economiche sane.

Con una fortissima tendenza a vampirizzare senza scrupoli ogni risorsa, e con l’ambizione di monopolizzare nel tempo alcuni settori economico-commerciali fra i più redditizi, specie quelli non presidiati da norme efficaci, capaci di «sconsigliare» le illegalità.

Si calcola che il business economico di stampo mafioso in Italia si aggiri (certamente per difetto) intorno ai 150 miliardi di euro l’anno.

Illegalità economica e impoverimento collettivo

Sommando il «fatturato» annuo dell’economia si scopre un giro di affari di almeno 330 miliardi di euro. Una cifra spaventosa,
che anno dopo anno alimenta e ingrassa sempre più i circuiti economici irregolari.

A rimetterci è soprattutto la comunità, la famiglia di cui tutti noi cittadini siamo parte integrante. Perché guai a dimenticare anche solo per un momento che l’illegalità economica, in ogni sua declinazione, non significa soltanto violazione della legge e di precetti morali (non rubare!), ma anche e soprattutto – va ribadito – impoverimento: un devastante impoverimento della collettività.

Una vergognosa sottrazione di risorse che ci permetterebbero di vivere meglio, se fossero a nostra disposizione. Senza o con meno evasione fiscale, corruzione e mafie a succhiarci risorse potremmo avere, per esempio, un campo sportivo o una residenza per anziani in più, ospedali e scuole meglio attrezzati, trasporti migliori, periferie urbane meno degradate, maggior tutela del territorio, del paesaggio e del patrimonio artistico: beni di cui non disponiamo o disponiamo in maniera insufficiente,
con il conseguente peggioramento della qualità della vita di tutti, a cominciare da quella dei ragazzi.

In buona sostanza si può stabilire una sequenza: evasione/corruzione/mafia = vampirizzazione delle risorse = grave impoverimento = peggioramento della qualità della vita.

Un’equazione quasi matematica, che porta a concludere come la legalità non sia un optional (se c’è bene, se non c’è pazienza), bensì una questione vitale che ci riguarda da vicino, tutti e ciascuno. Perché la legalità ci conviene, ci fa del bene; è precondizione fondamentale per avere concrete prospettive di una vita in cui la giustizia distributiva sia una pratica vera e non solo un miraggio.

Ne deriva che ogni recupero di legalità è un recupero di reddito a vantaggio di noi tutti; che la legalità è la chiave giusta per affrontare i problemi economici e sociali che ci affliggono; che la legalità è la strada per aspirare a uno sviluppo economico ordinato, che non favorisca sempre e soltanto i soliti privilegiati. Dunque, va ripetuto fino alla noia, la legalità ci conviene!

La politica (quale che sia il colore o l’orientamento della maggioranza del momento) tutti questi problemi, non volendo o non sapendo – al di là dei proclami propagandistici – come risolverli, preferisce accantonarli se non addirittura ignorarli, cercando nel contempo di distrarre da essi l’attenzione dell’opinione pubblica.

Il governo di destra-destra (qualcuno preferisce dire destra-centro) che oggi comanda ha scelto per tale distrazione anche il tema della immigrazione.

Il gioco politico sull’immigrazione

Presentandolo non come fenomeno epocale legato allo sfruttamento, alle guerre, alle violenze, alla fame, all’impazzimento dell’ecosistema e alle altre tragedie che affliggono il mondo, ma come «emergenza» da affrontare con misure «tecniche» tipo: dare la caccia agli scafisti in ogni parte del globo terraqueo (frase che un po’ riecheggia lo «spezzeremo le reni alla Grecia!»); ostacolare quei crocieristi delle Ong che si ostinano a battere il Mediterraneo in cerca di naufraghi da salvare; predisporre un «piano Mattei» di cui oltre al nome suggestivo non si sa nulla.

Con la finalità ultima di difendersi dal pericolo della «sostituzione etnica» (dove etnia sta pudicamente per razza); in sostanza cercando di trasformare i poveri cristi che fuggono dal loro Paese per sopravvivere in pericolosi invasori del patrio suolo, con il corollario che chi dissente è appunto un nemico della patria.

Ciliegina sulla torta la previsione, al fine di scoraggiare l’immigrazione, di una attenuazione – se non proprio eliminazione – delle misure come il diritto di asilo previste per la protezione di alcune categorie di migranti.

Aspetto, quest’ultimo, su cui conviene soffermarsi per toccare con mano l’approccio improvvisato e strumentale che caratterizza i nuovi «decisori». Esso, infatti (lo argomentano con dati univoci schiere di osservatori e studiosi), appare inesorabilmente destinato a creare un esercito di irregolari invisibili, utilizzabile come massa di manovra dalle forze delinquenziali che impestano il nostro Paese.

In questo modo la propaganda (interfaccia dell’assenza di un realistico e praticabile programma) innesca un corto circuito che impatta quella grande questione democratica che è la sicurezza urbana. Spesso cavalcata ed enfatizzata per conquistare facili consensi proprio da molti di coloro che oggi di fatto la sacrificano, creando quell’esercito di invisibili di cui si è detto.

Dando così prova, oltre tutto, di grave miopia e di scarsa sensibilità civica. Perché la sicurezza urbana – oltre a riguardare l’attentato, comunque grave, ai beni materiali e alla serenità della vita quotidiana – realizza un saccheggio ancora più pericoloso sul piano della civile convivenza, che rischia di imbarbarirsi sempre di più.

Paura e insicurezza soffocano la voglia di dialogo e di confronto, soprattutto con chi cataloghiamo come «diverso». Causano il declino, fino alla scomparsa, della voglia di fare politica (nel senso di partecipazione attiva alla vita della «polis» intesa come comunità). Spingono a rinchiudersi nel recinto del privato e delle angosce individuali. Portano a trasformare le proprie abitazioni (se si hanno i mezzi economici) in tane blindate e rassicuranti. Determinano l’abbandono di spazi comuni che vengono occupati da gruppi inclini alla devianza, cioè a comportamenti irregolari o illegali. Innalzano barriere che separano.

Con effetti evidenti che incidono negativamente – e pesantemente – sulla qualità della nostra vita.

Senza che nel contempo vi siano prospettive concrete di avviare a soluzione, anche solo in parte, il problema dell’immigrazione.

* Fonte: Rocca n°12 – 15 giugno 2023

Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

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