Vanzaghello. Dopo trent’anni la rivincita della Palermo migliore è a ovest di Milano
“Grazie per quello che ha scritto”. “Allora si può sperare”. “Fin dalle elementari! lo diceva Gesualdo Bufalino”. Proprio così.
Quando porto in queste “Storie italiane” quel che vedo nelle scuole, la meravigliosa e silenziosa costruzione di legalità dal basso che vi viene operata ogni giorno in nome della Repubblica, mi arrivano lettere di questo tenore. Sollevate, speranzose. Il lettore adulto sembra avere un felice soprassalto. Allora non tutto è perduto, indipendentemente da chi governa la regione o il comune.
Così ho deciso di raccontarvi anche l’ultima storia di quest’anno scolastico. Appena incontrata in un paese di 5mila abitanti al confine tra Milano e Varese.
Vanzaghello è il suo nome, e insieme alla confinante Magnago si intesta il classico istituto comprensivo nato dalla “razionalizzazione” di un tempo. Si chiama “Ada Negri”. Lo guida una dirigente scolastica di nome Maria Gabriella Martorana. Dinamica, precisa, quasi tedesca. Ma che nel profondo Nord è portabandiera della migliore Palermo di sempre. Quella che nella mattanza degli anni ottanta e novanta non chinò la testa ma resistette, proprio a partire dalle scuole primarie e secondarie.
Una dirigente che è tutto fuorché l’insegnante venuto dal sud di antica vulgata leghista. “Qui se vedono che lavori e che garantisci alla scuola un alto rendimento nessuno sta a vedere come la pensi politicamente, anche se quando arrivai un tale mi chiese pubblicamente per chi votassi. Naturalmente risposi che non doveva interessargli. Ma è acqua passata. Da quando sono qui si è formata una straordinaria coesione sugli obiettivi.”
E basta un colpo d’occhio per capirlo. Una cura meticolosa dei particolari, l’attenzione a non lasciare indietro nessuno (una scuola del plesso è intitolata significativamente a don Milani), un rapporto stretto con gli enti locali, la scommessa sulla partecipazione. E l’educazione civile, l’educazione antimafia che arriva dalla storia della preside, ma che qui è ben necessaria perché sono molti i paesi con la classica desinenza in “ate”, da Tradate a Lonate (Pozzolo), che con la ‘ndrangheta hanno a che fare. Anche molto.
Nel palazzetto dello sport gli alunni, tutti in maglietta bianca, sono circa 400, affluiti in ordine nelle tribune sotto la guida degli insegnanti. Cantano il celebre “Pensa” di Fabrizio Moro. Presentano e leggono i loro lavori. Grandi composizioni grafiche, pensieri che fanno pensare. L’anno scorso ebbero qui una lezione magistrale da Fiammetta Borsellino.
Alla fine vedo un trambusto elettrizzato. “L’inno, l’inno”, sento dire. E penso a “Fratelli d’Italia”, che in effetti ci sarà. Ma in quel momento si annuncia altro. È l’inno alla gioia di Beethoven che sta arrivando. Un clima di festa avvolge il palazzetto. Partono e risuonano le note. Un centinaio e più di ragazzini suonano diretti da un gruppo di insegnanti allineati lungo un lato delle tribune. Una musica potente, chiedo se si stia adoperando un sottofondo. “No, tutto loro”. Il tripudio finale è il saluto collettivo a una fatica che deve essere costata mesi di preparazione.
In nome dell’antimafia è la festa della scuola, è la festa di centinaia di bambini-ragazzini. Ma è anche la festa sua. Guardo Maria Gabriella Martorana. E in quel momento per me non è tanto la preside.
È la ragazza di trent’anni fa che, con colleghe e colleghi, si faceva largo in mezzo alle sempre nuove lapidi siciliane per affrontare con la cultura la sfida mafiosa. Ora è all’altro capo d’Italia che porta il seme nato allora dal sangue. I ragazzi con la maglietta bianca la salutano affettuosi. “Buongiorno preside”, “arrivederci preside”. Gli insegnanti, i sindaci, gli assessori tutto il personale, sono contenti, orgogliosi. Una maestra assessora, Doris, scoppia di felicità.
Qui, penso, certi episodi di violenza contro gli insegnanti non ci sarebbero mai. Perché qui la legalità è un sentimento.
Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 12/06/2023
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