Processo Eternit Bis: la rivincita amara di Casale Monferrato
La Corte d’Assise di Novara condanna in primo grado il magnate svizzero, patron di Eternit, Stephan Schmidheiny a 12 anni di reclusione, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e al pagamento di provvisionali per oltre 100 milioni di euro.
“È la rivincita di Casale Monferrato che arriva al prezzo di una grande sofferenza. Speriamo solo che i risarcimenti possano ridare sostegno alle centinaia di famiglie che hanno perso i loro cari”. Così commenta a caldo, visibilmente commossa, Giuliana Busto, presidente dell’Associazione Familiari e Vittime dell’amianto di Casale Monferrato (AFEVA), la sentenza di condanna per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, a 12 anni di reclusione, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e oltre 100 milioni di provvisionali.
La pena è stata comminata dalla Corte d’Assise del Tribunale di Novara, a fronte del reato di omicidio colposo aggravato, in violazione delle norme per la prevenzione sul lavoro e conclude così il primo grado di giudizio del processo Eternit Bis, dopo 41 udienze di dibattimento, a partire dal giugno 2021.
Una rivincita con un prezzo altissimo. “Solo negli ultimi giorni nella nostra città sono morte altre 4 persone per mesotelioma e non avevano mai lavorato all’Eternit. Terribile, pensando che la fabbrica è stata chiusa nel 1986”, ricorda la presidente di AFEVA.
Eternit, la più grande fabbrica di cemento-amianto d’Europa, insediata nel quartiere Ronzone a Casale Monferrato, fu attiva fino a 37 anni fa, inquinando tutta la città, fino a che l’ordinanza dell’allora sindaco Riccardo Coppo ne ordinò la chiusura, anticipando di cinque anni la legge 257 del 1992. Norma che ha messo al bando l’amianto su tutto il territorio nazionale, dove ancora insistono, però, più di 300mila siti contaminati.
Seppure Casale Monferrato sia la prima città italiana e europea “amianto-free”, la dispersione delle fibre di asbesto, solo nel territorio casalese causa ancora oggi 50 morti ogni anno per mesotelioma, il tumore maligno provocato dall’inalazione delle fibre minerali. disperse in atmosfera e che ha un tempo di latenza di almeno vent’anni dall’esposizione.
“La vicenda Eternit ha spezzato intere generazioni di monferrini. Questa sentenza è un primo passo, riconosce una colpa dell’imputato che in passato era stata negata. Ma per la nostra comunità è poco. E’ poco per ciò che abbiamo vissuto”, denuncia l’attuale sindaco, Federico Riboldi, che ha seguito la lettura della sentenza proprio accanto alla presidente di AFEVA.
Il primo cittadino non nasconde, però, il timore che i risarcimenti possano non arrivare. “Il tema economico forse tocca l’imputato più della condanna. Fino ad oggi si è trincerato dietro l’assenza di proprietà in Italia, dietro una cittadinanza svizzera. Difficilmente riconoscerà quanto dovuto alle famiglie e alla nostra comunità”. Una comunità che, a maggior ragione non può dimenticare. “In questi decenni abbiamo investito nelle bonifiche, nelle cure, ma continuiamo a pagare un prezzo sociale ed umano inimmaginabile. Abbiamo perso migliaia di concittadini, eppure siamo tornati in aula con sete di giustizia, non di vendetta. Per questo la nostra comunità meritava di più”.
Una rivincita amara, quindi, pensando anche al lungo iter processuale, alla base di questo stesso processo, non a caso chiamato “Eternit bis”. Le lacrime di commozione che hanno rigato il volto di Giuliana Busto e delle molte generazioni di casalesi presenti alla lettura del dispositivo da parte del presidente della Corte, il giudice Gianfranco Pezone, con i nomi delle 392 vittime, sono quelle che la precedente presidente di AFEVA, Romana Blasotti Pavese, aveva smesso di versare dalla disperazione, nel novembre del 2014.
Allora, la Corte di Cassazione gettò un vero e proprio colpo di spugna sul primo processo Eternit, mandando in prescrizione il reato di disastro “innominato”. Eppure tra ammalati e deceduti c’erano 2.889 parti lese: lavoratori degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli), i loro familiari, i loro concittadini che abitavano vicino alle fabbriche e respiravano le fibre. Da lì, la vera resilienza del popolo monferrino, che insieme prima al procuratore Raffaele Guariniello e poi con il magistrato inquirente Gianfranco Colace, ha proseguito instancabile la richiesta di giustizia, superando sospensioni e persino il parere della Corte Costituzionale invocata dai legali dell’imputato.
Fino allo smembramento nel 2016 nelle diverse sedi processuali: Torino per i morti di Cavagnolo, Napoli per i morti di Bagnoli, Reggio Emilia per Rubiera e appunto Vercelli e poi Novara per Casale Monferrato.
In ogni caso, la sentenza del 7 giugno 2023, secondo il PM Gianfranco Colace che, con la PM Maria Giovanna Compare aveva chiesto il massimo della pena, l’ergastolo con isolamento diurno, riporta la vicenda Eternit nell’ambito della giustizia. “Il lavoro iniziato tanti anni fa per restituire la verità su Casale Monferrato ha portato i suoi frutti: abbiamo individuato il responsabile della strage, presunto colpevole fino a oggi”. Il magistrato ribadisce come poi, a differenza degli altri processi per morti d’amianto in Italia, questa sentenza crei un precedente. “C’è il riconoscimento della morte di persone residenti, i cosiddetti “esposti ambientali”, nessuno dei quali era un ex-lavoratore della fabbrica. E ci sono le provvisionali che sono un risarcimento alla comunità martoriata dal punto di vista ambientale, sociale e umano”.
Bisognerà attendere la pubblicazione del dispositivo da parte della Corte d’Assise nei prossimi mesi per comprendere appieno le motivazioni che hanno portato alla mutazione del capo d’accusa da omicidio doloso a colposo, causando alcune prescrizioni ed assoluzioni. Ma anche secondo l’avvocata Laura Mara, che rappresenta come parte civile l’Associazione Italiana Esposti Amianto, ( AIEA), “l’impianto accusatorio ha retto, ed è certamente una piccola rivincita per la comunità violata. Un passo verso la giustizia è stato fatto, sia in vista dei successivi gradi di giudizio, (la difesa dell’imputato ha già annunciato il ricorso in Corte d’Appello nrd) e delle decine di processi per morti d’amianto in corso in tutta Italia”.
Ma sono le parole di Nicola Pondrano, principale teste d’accusa del processo, già sindacalista CGIL alla Eternit ed ex presidente del Fondo Nazionale Vittime amianto, che ci riportano all’inferno vissuto dagli stessi lavoratori, in un passato che sembra lontanissimo. “Entrare in quella fabbrica era come entrare in un girone dantesco, non l’ho mai dimenticato. La commozione profonda di oggi è per tutte quelle persone che ho conosciuto, ai miei colleghi, che negli anni ho seguito e accompagnato e che non ci sono più a causa di una condotta criminale aggravata che finalmente è stata riconosciuta”.
Proprio in queste settimane la Commissione Europea ha aperto le consultazioni ai cittadini europei in merito all’applicazione nei propri Paesi del principio europeo “chi inquina paga”.
E il processo Eternit Bis è la punta di un iceberg di una giustizia ambientale che in Italia non si è ancora compiuta. Sia per le decine di migliaia di morti per amianto in tutta la penisola. Sia pensando al processo Ambiente Svenduto a Taranto, al processo PFAS a Vicenza, alle decine e centinaia di cause in corso per reati ambientali in tutta Italia.
Sono almeno cinque milioni di cittadini che vivono su aree ancora altamente contaminate e mai bonificate, come i siti di interesse nazionale, i cui effetti, come attesta il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, SENTIERI, ricadono sulle nuove generazioni.
Quello che di certo sappiamo è che il prezzo dell’amianto a Casale Monferrato è stato pagato, oltre che dagli stessi lavoratori, da un’intera comunità.
Fonte: Articolo 21
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