Come il giudice Falcone divenne il nemico numero 1 della mafia
La metamorfosi avvenne a Palermo nel 1980 nell’Ufficio Istruzione di Rocco Chinnici con le indagini patrimoniali su “mafia e droga” .
Ho conosciuto Giovanni Falcone nel 1980 all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo che allora era guidato, da pochi mesi, da Rocco Chinnici, un magistrato al quale sono stato particolarmente legato. Rocco Chinnici aveva raccolto l’eredità morale del giudice Cesare Terranova, designato allo stesso incarico e assassinato prima di entrare in carica. Lui invece fu dilaniato, il 29 luglio 1983, da un’auto bomba che fece paragonare Palermo allo scenario terroristico libanese.
Quando conobbi Giovanni Falcone ero il giovane cronista giudiziario del giornale L’Ora di Palermo. Il mio maestro era il veterano Gianni Lo Monaco. Io non avevo grande esperienza, ma avevo buoni maestri e avevo alle spalle un giornale che aveva fatto del giornalismo investigativo lo strumento di difesa dei più deboli e di lotta alla mafia.
Giovanni Falcone era un uomo simpatico e cordiale. Ricordo il suo sorriso sornione e la sua ironia. Aveva dieci anni più di me. Era un giudice istruttore. Ancora non era noto come il grande e valoroso magistrato che oggi ricordiamo tutti.
Vivevamo una stagione altamente drammatica, quella dei cosiddetti delitti eccellenti di Cosa nostra e dei processi di mafia che non riuscivano quasi mai a punire i mafiosi.
In quella stagione ho seguito passo passo e ho ammirato la metamorfosi che ha trasformato Giovanni Falcone nel grande magistrato che oggi ricordiamo.
La metamorfosi si verificò in pochi mesi, in quel suo piccolo ufficio di giudice istruttore ingombro di fascicoli, in quell’Ufficio Istruzione che Rocco Chimici, muovendosi come un vero stratega, in pochi mesi, all’inizio del 1980, aveva trasformato in un bunker blindato, cosa che nessuno prima aveva pensato di fare, sebbene fosse la premessa per affrontare le inchieste più pericolose senza restare bloccati dopo il primo passo.
L’inchiesta giudiziaria promossa in quell’ufficio nel 1980 denominata “Mafia e droga” ha segnato la grande svolta storica della lotta a Cosa nostra sul piano giudiziario ed è stata la premessa per elaborare e approvare la nuova legislazione antimafia.
Senza quell’inchiesta e il processo che ne seguì non ci sarebbe mai stato il maxi processo alla mafia (1986-1992).
Al successo di quell’inchiesta Giovanni Falcone diede un enorme contributo con il suo coraggio e la sua competenza.
La sua ineguagliata esperienza di mago delle indagini bancarie consentì di raccogliere le prove per condannare decine di mafiosi italo-americani che, indisturbati, riciclavano denaro sporco e trafficavano droga fra la Sicilia e gli Stati Uniti in combutta con il banchiere Michele Sindona. L’inchiesta del 1980, fra l’altro, aprì la strada alla scoperta delle liste della P2 custodite da Licio Gelli (Castiglion Fibocchi, marzo 1981).
Quella svolta costò molte vite umane: fra le altre, quelle di Boris Giuliano, Cesare Terranova, Emanuele Basile e Gaetano Costa, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pio La Torre.
Gaetano Costa era il procuratore della Repubblica di Palermo. Aveva concepito e promosso l’inchiesta del 1980 insieme a Rocco Chinnici, con il quale si consultava segretamente incontrandosi con lui di nascosto in un ascensore del Palazzo di Giustizia. Entrambi avvertivano la necessità di parlarsi al riparo da sguardi e orecchie indiscrete, per non fare conoscere la loro intesa e le loro mosse a nemici senza volto annidati negli apparati dello Stato.
Il clima era pesante. Lo ha descritto anche Caterina Chinnici, la figlia del magistrato, nel 2015, nel libro “È così lieve il tuo bacio sulla fronte”, edito da Mondadori:
“Nel febbraio 1982 – noi l’abbiamo scoperto dopo – papà andò in missione a Roma, sotto falso nome, a riferire al Consiglio Superiore della Magistratura cosa stava accadendo a Palermo. Raccontò di Costa, di come fosse stato lasciato solo a firmare un plico di ordini di cattura di cui nessuno voleva farsi carico, contro le famiglie Spatola, Inzerillo e Gambino. Disse che era stato ucciso per aver voluto compiere il suo dovere di magistrato, ed era esattamente così. Nessuno di quegli uomini – Costa, Scaglione, Terranova, Mattarella, Basile e gli altri che si aggiunsero alla lista nel 1981 – stava facendo altro che il proprio dovere”. vedi
Quel giorno della convalida degli arresti io ero appostato con gli altri cronisti dietro la porta dell’ufficio del Procuratore capo Gaetano Costa ad attendere la sua decisione sulla firma di quegli ordini di cattura e subito dopo riferii sul giornale L’Ora come ne fu data notizia da due sostituti procuratori: sottolineando che era stato “lui” a firmare quelle convalide.
Dobbiamo riandare a quella lontana stagione che io chiamo la preistoria dell’antimafia e che è ancora poco valorizzata nella pubblicistica sull’argomento, se vogliamo comprendere e contestualizzare, com’è necessario, eventi come la strage di Capaci del 23 maggio 1992. Perché gli eventi storici hanno un prima e un dopo, e possono essere compresi soltanto se li contestualizziamo comprendendo che cosa è accaduto prima e dopo e quali erano le circostanze politiche in cui si sono verificati.
Certamente nella svolta giudiziaria del 1980 pesò la rottura del quadro politico che, alla fine degli anni ’70, prima e dopo il sequestro Moro, portò il Pci nell’area della maggioranza di governo.
Alla base di tutto c’era inoltre il colossale lavoro di inchiesta della Commissione Parlamentare antimafia, c’erano le relazioni politiche trasversali costruite intorno a quel lavoro, c’erano i rapporti stabiliti intorno all’enorme scandalo Sindona, che si erano creati fra gli apparati investigativi italiani e statunitensi, e c’era il lavoro d’inchiesta giornalistica svolto da oltre 20 anni dal quotidiano L’Ora, con inchieste sul campo che mostravano molto più di quanto la magistratura era in grado di accertare.
Circostanze di cui finora si è tenuto poco conto. Dobbiamo conoscere anche queste pagine di storia e il ruolo che l’informazione giornalistica ha svolto per un certo periodo e non riesce più a svolgere come prima, come ha documentato Ossigeno in due rapporti alla Commissione Parlamentare Antimafia e nel dossier “Molta mafia, poche notizie” https://www.ossigeno.info/wp-content/uploads/2019/09/Molta-mafia-poche-notizie.pdf
Ciò è necessario anche per comprendere e ricordare degnamente il sacrificio di Giovanni Falcone e di tutti gli uomini e donne che, come lui, hanno pagato con la vita il coraggio di opporsi a un potere criminale disumano, di opporsi a esso quando quella lotta appariva impossibile.
* Direttore di Ossigeno per l’Informazione
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