I bambini di Gonzaga. Altro che dèmodè, nei doposcuola fa le prove l’Italia migliore
Ebbene sì. Qui l’Ulisse lo fa Gioele. Cioè un bambino dagli occhi così grandi da raccoglierci il mondo. Ma niente sirene o velieri fradici di mare.
Gioele è vestito in jeans, camicia sopra i pantaloni, e scarpe da ginnastica. Ha 11 anni e una grande voglia di misurarsi con tutto ciò che la sua età e i grandi intorno a lui gli propongono. E intorno a lui c’è (massì!!) un doposcuola della Bassa padana: Gonzaga, 8mila abitanti, da dove nel Trecento prese il volo la celebre dinastia che illustrò Mantova e le sue genti.
Chi pensa che il doposcuola sia un’istituzione démodé o da pronto soccorso si arrenda. Venga qui a vedere in queste stanze a pianterreno date dal comune il brulicare di compiti e di progetti che insegnanti amorevoli e appassionate immaginano ogni giorno per più di quaranta bambini e ragazzi affidati loro dai genitori nelle ore di lavoro. Bambini che, seduti intorno a tavoli ampi, scrivono, leggono, disegnano, imparano a cimentarsi con idee ambiziose che ne smuovono la fantasia e ne allevano una sbalorditiva cultura civile.
I progetti teatrali, per esempio. Portare sul palco l’Odissea, con una assai poco docile Penelope che sgrida il suo Ulisse per quell’insopportabile ritardo di vent’anni nel ritornare a casa. Dove Penelope è Alice, una ragazzina sveglissima, che auguro a chiunque di trovarsi un giorno studentessa in fiore. Oltre a far l’attrice Alice è anche calciatrice di valore e discute animatamente delle sorti del calcio femminile a Gonzaga. Ma sul palco è andata anche l’Eneide, con Enea impersonato da una biondina riccioluta di nome Camilla. O perfino la Divina Commedia.
Dico la verità. Mi trovo impreparato di fronte a questo spettacolo in apparenza fluido e poco strutturato, ma dove passa visibilmente una pedagogia pensata. Che sfocia in vere punte di genio didattico (qualcuno le chiamerebbe eccellenze). Gestito da due operatrici retribuite (Serena e Beatrice) e da una dozzina di volontari. Ma alla cui testa sta Anna Pezzella, una storica contemporaneista, già docente nelle università marchigiane, un lungo servizio reso alla causa della democrazia.
Da qui, provincia dalle forti radici contadine, si costruiscono viaggi della memoria verso Auschwitz, con l’obiettivo che nulla scivoli come acqua sui sassi e che sempre qualcosa resti nella sensibilità dei giovanissimi partecipanti. Qui fa le sue prove l’Italia migliore.
Un’associazione, “Amici.Net”, che anche grazie a contributi privati fornisce un servizio di qualità altissima, un comune (la sindaca: Elisabetta Galeotti) che ci crede, una grande tradizione purtroppo senza riflettori. Come spiega Anna Pezzella, “perdiamo tanti possibili relatori preziosi per le nostre iniziative proprio a causa del semi-isolamento logistico di queste terre, troppo tempo per venirci”.
Lo scorso 25 aprile a tutti i monumenti corone di alloro e carta, ossia biglietti rossi e bianchi realizzati dai bambini, con pensieri individuali sulla Resistenza. Ma anche sulla mafia e sulla legalità c’è fermento d’avanguardia. E per fortuna.
Tutta l’area ha registrato una crescita un giorno impensabile dei clan calabresi. Sicché anche questo versante dell’impegno del doposcuola o dell’istituto comprensivo che vi fa riferimento (il “Lisiade Pedroni”) non è affatto pleonastico.
Il 21 di marzo gli alunni della scuola dell’infanzia hanno piantumato con le loro mani (un pugno di terra ciascuno) un albero dedicato a una vittima di mafia. E in più la mafia si studia.
In un teatro pieno, trecento persone, una mezza dozzina di fasce tricolori in prima fila, giungono dal buio della platea domande acute e non sottoposte a controllo preventivo. A farle sono quasi sempre voci da prima adolescenza, talora semi-infantili. Fa capolino una grande cultura civile in formazione.
Che il cielo e chi può la benedica. E intanto sappiatelo una volta di più: un’altra (e bella) Italia è possibile.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 01/05/2023
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