Le mille piste dei depistaggi, l’Italia dei “Traditori” nel libro di Paolo Borrometi
Uno sguardo totale, al quale non sfugge un solo filo della trama di intrighi e mistificazioni tessuta dai traditori, che hanno sempre lo stesso volto criminale.
L’Italia è la Repubblica dei misteri, dei casi perennemente irrisolti, delle infinite inchieste che si inoltrano su piste tortuose. C’è sempre un ma, sempre un se, un forse, un dubbio, un interrogativo, una suggestione. E le tessere del mosaico che parevano ricomposte tornano a scomporsi.
E dove non c’è certezza, ogni ipotesi resta possibile. È una delle facce del depistaggio, l’indagine inconclusa che sbanda tra manipolazioni e sospetti insinuati ad arte, e che si svia dalla verità. Lo illumina bene il libro di Paolo Borrometi, “Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia d’Italia” (Solferino). E nel titolo, oltre all’intento programmatico, si legge un j’accuse, come se il sostantivo “traditori” fosse seguito dal punto esclamativo sempre implicito nel giornalismo d’inchiesta e di denuncia, di cui l’autore, condirettore dell’AGI, è un militante che da 9 anni vive sotto scorta per le minacce mafiose contro di lui.
Chi sono, allora, questi traditori? Gli attivisti di quello che Borrometi nel primo capitolo definisce ‘confunde et impera’, variante del ‘divide et impera’ dei latini. Confondi, intorbida le acque, rimesta nel fango, e dominerai. La confusione come strumento di potere (occulto, ma anche palese).
Quelle che il libro racconta, anzi ricostruisce con un rigore documentale e una completezza di fonti attestata da 40 pagine di note, sono “storie di lotta per il potere che si sono mosse in direzioni molto diverse da quelle di un legittimo confronto democratico, riproducendo schemi e strategie che hanno fatto delle stragi, dei tradimenti e del caos una costante della dialettica politica dell’Italia Repubblicana”.
La narrazione parte da una pagina, controversa, di storia: la sbarco alleato in Sicilia, e il ruolo che la mafia ebbe nei preparativi di quell’operazione decisiva per le sorti della seconda guerra mondiale. Non solo per i contatti tra il boss italoamericano Lucky Luciano e l’intelligence della Marina militare statunitense, ma anche per il più generale convincimento dei servizi segreti americani che solo Cosa Nostra avrebbe potuto controllare le masse contadine siciliane.
È già allora che si affacciano i “traditori”, quando “in uno Stato che ancora stava per nascere, concessioni, benevolenze e incarichi pubblici affidati ai mafiosi andarono a comporre l’intelaiatura del perverso intreccio di potere tra mafia e istituzioni che ancora oggi tristemente conosciamo”, scrive Borrometi.
Quel lontano germoglio di connivenze ha prodotto frutti avvelenati che il libro fotografa freddamente, impietosamente, guidando il lettore lungo un percorso di sangue, di un orrore che si annida non solo nella cruenta catena dei delitti, ma che abita soprattutto nella negazione della verità, o, se si vuole usare una delle lucide parole di Leonardo Sciascia, nel ‘contesto’ che inghiotte come un buco nero le responsabilità e le complicità.
Il Piano Solo, il Golpe Borghese, la strategia della tensione, le bombe, l’Italicus, la mafia “nera” (nel senso politico dell’aggettivo), il sequestro Moro, l’omicidio Dalla Chiesa, il Rapido 904, le stragi di Capaci e di via D’Amelio, il terrorismo mafioso ordito da Totò Riina per trattare con lo Stato da una posizione di forza, la lunghissima latitanza di Bernardo Provenzano, i suicidi indecifrati, nelle carceri e fuori.
Uno sguardo totale, al quale non sfugge un solo filo della trama di intrighi e mistificazioni tessuta dai traditori, che hanno sempre lo stesso volto criminale. Perché, l’autore lo dice citando Bertolt Brecht, “chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Ecco, il libro di Borrometi ci aiuta a essere meno sciocchi.
* AGI, Agenzia Giornalistica Italia
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