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Migranti, le mafie ringraziano ancora…

Pierluigi Ermini il . Diritti, Istituzioni, Mafie, Migranti, Politica, Società

Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire. (Zygmunt Bauman, la società sotto assedio).

Queste parole ben rappresentano la realtà che stiamo vivendo ormai da decenni e che né la Comunità Europea, né il nostro Paese intendono affrontare come uno dei temi più importanti del nostro secolo e di cui, tra l’altro, il mondo occidentale è fortemente corresponsabile.

Così grazie al cosiddetto decreto Cutro, che in questi giorni è in fase di conversione in legge in Parlamento, questo governo, continuando una politica miope e incapace sul tema della migrazione, non ha trovato di meglio che decidere norme che porteranno ad ampliare il numero di persone che saranno costrette a vivere in clandestinità.

Nel tempo diventerà clandestino anche il cittadino straniero che oggi ha diritto a una forma di protezione e che sta provando a integrarsi nelle nostre comunità, le stesse che gli stanno offrendo un’opportunità di vita.

Strano governo quello che ha tra le sue priorità la sicurezza e l’ordine pubblico e che al tempo stesso compie scelte politiche che fomentano e ampliano le forme di “disordine” sociale.

Maggiore clandestinità vuol dire più lavoro nero e caporalato, vuol dire più manodopera a disposizione della criminalità organizzata, più persone senza una residenza e dunque “irreperibili” nelle nostre città,  più persone deboli in mano a chi li vorrà sfruttare, vuol dire più microcriminalità lungo le nostre strade…

Le mafie ringraziano per queste scelte…

Su questo tema abbiamo una Europa e un governo come il nostro in stato confusionale, lo stesso di noi cittadini quando parliamo di clandestini e del significato che la politica vuole imporre.

Se andiamo a vedere le origini di questo termine scopriamo che deriva dal latino “clam” (di nascosto), cui si aggiunge “dies” (giorno). Letteralmente: “che sta nascosto al giorno, che odia la luce del sole, occulto”.

Il significato nella lingua italiana è riferito a qualcosa che ha carattere di segretezza in quanto difforme dalla legge o dalle norme sociali e quindi perseguibile per via giudiziaria o soggetto a condanna morale. I sinonimi sono “nascosto, segreto”.

Dunque qualcosa di completamente diverso da quello che ogni giorno sperimentiamo, perché nella realtà quelle persone che noi consideriamo clandestine vivono nelle nostre città e non cercano di nascondersi, ma chiedono aiuto ed esprimono esigenze e bisogni.

Cercano un lavoro, una casa, di essere curati, un sostegno, una opportunità… vogliono vivere alla luce del giorno, mentre siamo noi ad impedirglielo.

Tutto ciò nasce con l’entrata in vigore della legge Bossi – Fini.

Se c’è una legge che ha fatto del male al nostro paese, anche in termini culturali e sociali, questa è senz’altro la legge Bossi – Fini che, poco più di 20 anni, affrontando il tema dell’immigrazione, ha di fatto introdotto il concetto di clandestino.

Questa parola si è diffusa nell’uso comune dopo essere apparsa in maniera quasi ossessiva sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici per indicare lo straniero che entra o soggiorna in un Paese in violazione delle leggi sull’immigrazione.

Le leggi oltre a stabilire norme che si devono rispettare, hanno anche un altro e più importante obiettivo, quello di “fare cultura” ed è quello che ha fatto in 20 anni la legge Bossi – Fini, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

In questi lunghi 20 anni il clandestino è diventato il nemico da sconfiggere e da mandare via, pur sapendo che siamo noi stessi, con le nostre stesse leggi, a produrlo e consapevoli che è quasi impossibile anche rimpatriarlo nel paese di origine per la mancanza di accordi tra i paesi e per i costi esorbitanti che questo avrebbe per le nostre casse.

Eppure lui non si nasconde, non si comporta da clandestino,  ma vive nelle nostre strade (dove noi proviamo ogni giorno di più  a relegarlo), chiede il nostro aiuto, cerca la nostra mano.

La politica ben sa che le risposte ai bisogni della nostra economia non possono non venire anche dalla regolarizzazione di migliaia di “clandestini” che sono già nel nostro paese e che potrebbero essere assunti dalle aziende.

Lo ha dimostrato il decreto flussi di qualche settimana fa che si è esaurito in poche ore con l’accoglimento di solo un terzo delle domande delle aziende.

È chiaro a tutti che solo i migranti che già vivono qui possono essere una risposta attuabile nei tempi che la nostra economia richiede.

Eppure, invece di limitare la clandestinità, si creano i presupposti per implementarla.

Solo uno stato e una società malata si comportano così.

Come ci ricorda Baumann, ci creiamo solo l’illusione che rendere una persona clandestina, che concretamente è già impossibilitata a una vita dignitosa nel suo paese di origine, sia un modo di affrontare un fenomeno che richiederebbe una visione politica che va ben oltre i nostri confini.

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