Lo “stato di emergenza nazionale” dovrebbe essere dichiarato per le mafie e non per i migranti
Il desolante quadro criminale descritto nella ultima relazione della DIA inoltrata dal Ministro dell’Interno al Parlamento alcuni giorni fa – relativa a fatti del primo semestre del 2022 – avrebbe dovuto suggerire al Governo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale (allarme vero, però) che sarebbe stato più comprensibile e giustificabile di quello proclamato alcuni giorni fa in tema di immigrazione clandestina. Seppure “stato di emergenza tecnicamente inteso” come ha precisato, successivamente, il Ministro dell’Interno, dopo le perplessità avanzate dalla Conferenza Episcopale Italiana).
Bisogna, tuttavia, leggere attentamente le 453 pagine della relazione della DIA (quanti degli onorevoli parlamentari lo faranno?) con le analisi puntuali dei fenomeni delittuosi e l’esame delle operazioni di contrasto concluse dalle forze di polizia per avere la conferma di quella “mimetizzazione” nel tessuto sociale delle mafie rilevata da diversi anni che continuano a concludere i propri affari illeciti “avvalendosi delle complicità di imprenditori e professionisti, di esponenti delle istituzioni e della politica, formalmente estranei ai sodalizi” (abstract della relazione DIA).
In tutte le relazioni della Dia, almeno quelle degli ultimi venti anni, viene sottolineata la spiccata capacità imprenditoriale della ‘ndrangheta grazie alle ingenti risorse derivanti dal narcotraffico.
Una mafia quest’ultima divenuta “oggi l’assoluta dominatrice della scena criminale” con proiezioni in quasi tutte le Regioni (nel Nord Italia addirittura la costituzione di 46 locali in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige), in molti Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania, Bulgaria, Malta), in Australia e nel continente americano (Canada, USA, Colombia, Perù, Argentina).
Se questa espansione non si arresta nonostante le importanti operazioni delle forze di polizia e della DIA che si svolgono ogni anno ma, anzi, sta interessando anche regioni dell’Africa occidentale (Costa d’Avorio, Guinea, Ghana) bisogna chiedersi cosa non va nella generale azione di contrasto e di prevenzione e, comunque, cosa si possa fare in concreto per migliorarla.
Cosa nostra, presente in tutta la Sicilia ma anche in altre regioni italiane, mantiene rapporti anche con famiglie radicate da tempo all’estero, anche oltreoceano mentre si stanno facendo largo nuovi esponenti e cercano di riaccreditarsi all’interno delle varie famiglie anziani uomini d’onore tornati liberi dopo anni di carcere.
Altri sodalizi mafiosi, non inseriti in Cosa nostra, si rilevano a Catania e ad Agrigento con la presenza della Stidda e di sodalizi paramafiosi che la DIA indica come paracchi e famigghiedde.
Drammatica la situazione in Campania con la camorra che “si è fatta “sistema” sino a permeare ogni aspetto e ogni livello della società civile” delocalizzando le attività economiche per reinvestire il denaro fuori dei confini regionali (in almeno nove regioni) e nazionali. Tra i Paesi più interessati la DIA segnala Spagna, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania, Austria e Romania. Alla camorra, peraltro, nel periodo in esame, è stato sequestrato, su proposta del direttore della DIA o dall’autorità giudiziaria il più alto valore dei beni, oltre 34 milioni di euro.
Scenario delinquenziale allarmante anche in Puglia con la presenza della c.d. mafia foggiana, della criminalità barese e della sacra corona unita. Proiezioni fuori regione si rivolgono soprattutto al traffico di stupefacenti (contatti con l’Albania ma anche con Spagna, Germania, Paesi Bassi e Romania) e al c.d pendolarismo criminale finalizzato alle attività predatorie.
Inquietanti le presenze criminali straniere divenute in molti casi stanziali come i gruppi albanesi (molto simili sul piano organizzativo alle ‘ndrine calabresi), la criminalità organizzata nigeriana, quella cinese, sudamericana, i gruppi criminali balcanici e quelli di origine nord-centro africana (in particolare tunisini e marocchini).
Amare le considerazioni degli analisti della DIA che ricordano come le organizzazioni criminali italiane e straniere sempre più proiettate a valicare i confini nazionali costituiscano “una crescente minaccia per la sicurezza degli Stati, delle loro economie e dei diritti dei cittadini”.
Scenari futuri, insomma, sempre più bui, perché “le economie degli Stati saranno sempre più contaminate dalle consorterie criminali “multiservice provider” stabilendo “alleanze operative strategiche tra gruppi diversi, anteponendo l’unità di intenti alle lotte intestine”.
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Direzione Investigativa Antimafia: pubblicata la relazione del I semestre 2022
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