È nata la Società Scientifica Italiana degli Studi su Mafie e Antimafia
Il notaio con gli occhiali verde schocking mostra dal finestrone del suo studio la meraviglia di Mergellina inazzurrata. A Napoli in queste settimane all’azzurro del mare risponde dalla terra ferma, più invadente che romantico, quello del Napoli a un passo dallo scudetto.
Azzurro ovunque. Finestre, cornicioni, pali, perfino una bandiera su un lembo di questura. E non sta bene, chiosa il notaio che è uomo coltissimo e napoletano verace. Perché questa è la città della scaramanzia. E finché non si è vinto non si festeggia. Ci siamo pure scottati in queste settimane, aggiunge con visibile dolore alludendo alla doppia sconfitta con il Milan.
Piace al notaio divagare sul calcio e su Ravello, sulla bella politica dei suoi anni giovanili e sui capricci lessicali della nuova politica, con tutte quelle sigle cangianti che piovono su chi, come lui, debba fissare su carta solenne a quale ministero o ente ci si stia riferendo.
Intorno al tavolo con vista Mergellina sta un piccolo gruppo di persone in ansiosa attesa della liturgia ma anche compiaciute della sua signorile effervescenza.
“Che qualifica devo mettere?”, chiede il notaio quando incomincia a registrare le generalità dei presenti. “Professore”, risponde uno, “siamo tutti professori”. “Ah”, sbotta compiaciuto lui a sua volta.
Non è un momento qualunque, in effetti. Sta nascendo la “Società Scientifica Italiana degli Studi su Mafie e Antimafia”. Sigla: SISMA. Un piccolo colpo di genio di fronte a una bottiglia di vino. Sisma.
Per dire che ciò che sta nascendo è come un terremoto per tante convenzioni e incrostazioni accademiche, per una infinità di luoghi comuni e pigrizie inveterate.
L’idea che la mafia e la criminalità organizzata rappresentino un piccolo, trascurabile scampolo di una realtà tanto più grande e complessa. Anche se l’Italia ne è sempre più infestata. Anche se a livello planetario il numero delle organizzazioni criminali globali è in continuo aumento. Oppure la convinzione che questi siano studi di nicchia per persone dotate di uno status intellettuale minore, e a cui è quindi sconsigliabile aprire le carriere accademiche.
Sotto lo schermo gigante dello studio quel che dieci, cinque anni fa sembrava impossibile sta diventando realtà con una facilità sorprendente. I presenti si guardano negli occhi quasi orgogliosi di una intraprendenza che si trascrive con naturalezza sulla carta uso bollo: “firmi qui”, “ecco, ora firmi in verticale su tutti i fogli”.
Ognuno dei presenti rivà a quando occuparsi di mafia, o addirittura dedicarsi soprattutto a questo, implicava diffidenze o giudizi sprezzanti nei concorsi. E mentre il notaio legge riga per riga lo statuto ognuno, torinese o milanese o bolognese o napoletano che sia, pensa alle nuovissime generazioni di studenti e ricercatori che hanno riempito i dipartimenti di tesi di laurea e dottorato in materia, e che finalmente non si sentiranno più figli di un dio minore. Pensano anche che, chissà, d’ora in poi sarà anche meno facile spacciarsi per specialisti a un manipolo crescente di ciarlatani impenitenti.
Davanti al tramonto su Mergellina sembra davvero uno di quei magici momenti in cui l’impegno diventa divertimento. Neanche fosse l’inizio di una nuova era, perché alla fine i cambiamenti profondi sono quelli che sgorgano in silenzio da eventi apparentemente anodini o insignificanti. Non c’è bisogno di urlare o di violare l’ordine pubblico per generarli.
Il notaio coltissimo con gli occhialini verdi licenzia i suoi volonterosi clienti. Che felici ironizzano su se stessi. “Pensate, siamo quelli che studiano un oggetto inesistente. Lei cosa studia? La mafia? Ma la mafia non esiste. E se non esiste, non esiste nemmeno l’antimafia. Noi, non è vero?, studiamo il niente mischiato col nulla”.
La brezza che arriva dal mare libera l’aria dai fantasmi del passato. Era ora.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 17/04/2023
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Lotta alla mafia. La partita si gioca anche nelle università. Come a Città del Messico
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