Le mani sulle città: la crisi delle testate locali
Tra le riflessioni più interessanti sui perché della crescita dell’astensionismo elettorale, vi è quella che riguarda un’informazione locale attraversata da serie difficoltà. Si sostiene con ragione che la disaffezione verso l’impegno politico e civile deriva anche dalla diminuzione di relazioni cognitive con il territorio, determinandosi il fenomeno alienante della passiva appartenenza ai non luoghi di cui spesso ha parlato e scritto l’antropologo Marc Augé.
A parte il declino delle emittenti televisive, ormai datato, la novità dei tempi più recenti è la deflagrazione della crisi delle testate locali.
La difficoltà non deriva certamente dalla professionalità di chi vi lavora, bensì dal crescente disimpegno dei grandi gruppi tradizionali dell’editoria.
Eppure, nella prima metà degli anni ottanta del secolo scorso, proprio dal rigoglioso sviluppo delle nuove iniziative nacque la primavera dei quotidiani, che arrivarono a vendere circa sette milioni di copie al giorno, toccando livelli mai più raggiunti. Come è tristemente noto, via via il successo diminuì, tornando almeno fino al 2008-2009 alla soglia precedente di sei milioni.
Ora quei numeri sembrano un miraggio. Siamo arrivati a superare di ben poco il tetto del milione.
In tale contesto assume una luce particolarmente sgradevole la girandola di compravendite e mutamenti degli assetti societari.
Nel periodo felice fu il gruppo di Repubblica-Espresso, su impulso di Carlo Caracciolo e attraverso le intuizioni di uno dei riferimenti dell’editoria italiana – Mario Lenzi -, a dare vita ai territori mediali con la costituzione della Finegil.
E proprio dalla finanziaria Gedi capeggiata da John Elkann (succeduto a Carlo De Benedetti), che nel frattempo ha rilevato la compagine, vengono scelte recessive molto preoccupanti.
La federazione nazionale della stampa e i rispettivi comitati di redazione hanno espresso critiche e previsto mobilitazioni, dopo la proposta dello scorso 27 marzo della Banca Finint di voler acquisire voci assai significative del Nord-Est: il Corriere delle Alpi, il Mattino di Padova, la Nuova di Venezia e Mestre, Il Piccolo, il Messaggero Veneto, la Tribuna di Treviso e Nordest Economia.
Senza accedere a pensieri troppo maligni, è evidente il rischio che si possa trattare solo di un passaggio di mani, chissà con quale esito finale. Visti i chiari di luna a pensar male, purtroppo, si indovina.
È un’ulteriore puntata di una vicenda iniziata con la cessione de il Centro di Pescara e della Città di Salerno, per proseguire con il Tirreno, la Nuova Sardegna, le Gazzette di Modena e Reggio Emilia, la Nuova Ferrara.
Evidentemente, al di là della bravura o meno dei compratori, la filiera locale è stata giudicata meno importante di quanto fosse in passato e quasi un ingombro.
Sarà essenziale verificare ciò che accadrà: di fronte alla tendenza a liberarsi del lavoro attraverso i passaggi proprietari. Insomma, è bene lanciare un allarme, prima che sia troppo tardi.
Il sottosegretario con delega Alberto Barachini ha incontrato la Fnsi e i cdr, impegnandosi a seguire l’evoluzione. C’è da sottolineare, però, che le manovre sull’informazione locale, unite alla pesantissima recessione di ricavi e di diffusione, colorano a tinte fosche il panorama complessivo.
Servirebbe un fondo di garanzia, deciso con una legge anticipatrice dell’attesa riforma organica, in grado di sostenere sul serio la transizione in atto dall’età analogica all’era digitale.
In verità, la questione locale è una anticipazione di una slavina in arrivo, che potrebbe persino toccare una testata-simbolo come Repubblica.
A guardare i dati, pressoché nessuno si salva. E questo impone un’attenzione straordinaria verso la carta stampata, fondamentale per la tenuta culturale del paese.
La segretaria del sindacato Alessandra Costante ha voluto sottolineare: «Pur non essendo pensabile mettere un limite alla libertà di impresa, l’auspicio è che si tenga conto di quanto quei giornali siano presidi di democrazia nei territori. Va preservata la loro anima, insieme con il pluralismo, l’occupazione e il trattamento adeguato».
Fonte: Il manifesto/Articolo 21
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