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Il «caso Cospito» e il 41 bis. Alcuni punti fermi

Gian Carlo Caselli il . Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica

Il «caso Cospito» sta spaccando politica e opinione pubblica, mentre le piazze si infiammano e forme pericolose di violenza e minaccia si manifestano non solo in Italia.

Nel marasma diffuso, vediamo di stabilire alcuni punti fermi.

Di cosa stiamo parlando

Alfredo Cospito è un anarchico detenuto per vari reati: la gambizzazione di un dirigente genovese dell’Ansaldo come risposta a un fatto successo in Giappone (ah, la globalizzazione…); la spedizione in giro per l’Italia di pacchi bomba, alcuni esplosi con danni anche alle persone; un attentato dinamitardo (fallito) davanti alla caserma di Fossano dei giovani allievi carabinieri.

Dal 4 maggio 2022 (decisione del ministro Cartabia) Cospito è al 41 bis; dopo circa cinque mesi, il 21 ottobre, il giorno prima del giuramento del nuovo governo, inizia lo sciopero delle fame; un altro innesco della protesta potrebbe essere stato il deposito (17 ottobre) della motivazione della sentenza della Cassazione nella quale si sanciscono due cose assai temute da Cospito & C: – 1) il gruppo di Cospito (FAI-FRI, acronimo di federazione anarchica informale – fronte rivoluzionario internazionale) viene punito come associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico; – 2) l’attentato di Fossano «è stato commesso con  intento stragista , che non ha prodotto perdite umane solo per una mera causalità» (la pena, non ancora definita, potrebbe arrivare all’ergastolo.

Quattro deputati quattro del Pd (una vera delegazione…) nell’esercizio delle loro funzioni ispettive visitano il carcere di Sassari: hanno un colloquio con Cospito e, su  richiesta di questi, anche con alcuni mafiosi al 41 bis nello steso carcere.

Il GOM (una articolazione della Polizia penitenziaria) riferisce di un colloquio intercorso fra Cospito e i mafiosi codetenuti che lo esortano a proseguire nello sciopero perché «pezzo dopo pezzo si arriverà al risultato».

Cospito fa sapere che la sua lotta estrema è in favore di tutti i detenuti al 41 bis, tant’è che dice di voler continuare lo sciopero della fame anche se la misura fosse  a lui tolta.

La relazione del GOM arriva, come di norma, al Ministero della giustizia; il sottosegretario Delmastro la porta a conoscenza del compagno di partito (FDI) Donzelli (vice presidente del Copasir).

Con un vibrante e «muscolare» intervento alla Camera, senza risparmio di decibel, Donzelli racconta del colloquio di Cospito coi mafiosi; aggiunge che esso è avvenuto proprio nel giorno della visita al carcere di Sassari dei deputati Pd, che hanno contattato anche i mafiosi; quanto basta al prode Donzelli per indignarsi e stigmatizzare i Pd come fiancheggiatori di anarchia, terrorismo e crimine organizzato; per parte sua Delmastro in una intervista a un settimanale biellese dichiara con astiosa ironia che il Pd «dovrà spiegare all’opinione pubblica quell’inchino ai mafiosi» nel carcere di Sassari.

Il contenuto della relazione viene qualificato ora come sensibile, ora come riservato, ora a divulgazione limitata (qualunque cosa ciò significhi); la Procura di Roma apre un procedimento per violazione di segreto (Delmastro indagato).

L’opposizione chiede con forza le dimissioni di Delmastro e Donzelli; la maggioranza fa quadrato intorno a loro, forte della difesa senza se e senza ma del fine giurista Nordio (sedicente garantista, ma in questo caso con evidente tendenza a selezionare le norme a seconda di chi ne sia il destinatario); la premier Giorgia Meloni per un po’ tace, poi (con una lettera al Corriere della Sera, evitando il fastidio di  domande in una conferenza stampa) sostanzialmente «assolve» i suoi sodali Delmastro e Donzelli e conclude salomonicamente invitando tutti (tutti…) ad abbassare i toni.

I rischi

In questo baillame rischia la vita Cospito (per sua precisa e volontaria scelta; ed è monitorato e curato adeguatamente); rischia la democrazia, per l’uso scorretto della relazione del GOM e per l’impiego di essa come una clava contro gli avversari politici;  rischia il 41 bis, perché a qualcuno non sembra vero di poter approfittare dell’occasione per tornare a parlarne in termini di violenza, barbarie, vendetta, tortura, incostituzionalità.

A questo punto urge fare un po’di chiarezza sul 41 bis partendo dal suo rapporto con la mafia. Non stiamo a ripetere che si tratta di una norma approvata subito dopo e per effetto delle stragi del 1992, perciò letteralmente intrisa del sangue e del sacrificio di Falcone e Borsellino e di quanti erano con loro a Capaci e in via d’Amelio

E non ripetiamo neppure che il 41 bis, unito alla legge sui “pentiti” e alla prospettiva (dopo la sentenza della Cassazione del gennaio 1992 sul maxi-processo) del tramonto della stagione dell’impunità, ha costituito una tenaglia che ha portato a una slavina di mafiosi disposti a collaborare, disarticolando Cosa nostra che stava travolgendo la  democrazia.

Ricordiamo invece come il 41 bis (e i «pentiti») siano per i mafiosi irriducibili questione di vita o di morte. Letteralmente.  Dall’epoca di Riina (disposto a “giocarsi i denti», intendendo quel che si ha di più caro) pur di togliersi di dosso questi pesantissimi e micidiali fardelli, fino ai giorni nostri (tempo di messaggi trasversali ma inequivoci, come nel caso del ventriloquo Baiardo e della «alleanza» fra mafiosi e Cospito nel carcere di Sassari).

Chi definisce come vendetta l’istituto del 41 bis non sa bene cosa dice. Piuttosto rifletta sulla specificità della mafia, riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale.

Il «doppio binario» (41 bis compreso) serve a contrastare il carrarmato mafioso non con una cerbottana ma con norme e mezzi adeguati, in quanto calibrati sulla specifica realtà della mafia, che è diversa da ogni altro fenomeno criminale. Dunque la specificità (diversità) consente di ricondurre il doppio binario e il 41 bis a quei parametri di ragionevolezza che orientano la valutazione in tema di eventuali contrasti con la Carta. Non è vendetta, ma risposta adeguata e necessaria per difendere la democrazia dall’esiziale pericolo mafioso.

È carcere duro nel senso di giustamente severo nei confronti dei mafiosi detenuti, i quali prima del 41 bis vivevano ad aragoste e champagne (chi ne dubita per favore si informi!). E non era una questione…gastronomica, ma ben altro. Era simbolo e sigillo dello strapotere  dei mafiosi, che nel carcere facevano il brutto e il cattivo tempo a loro piacere; della sopraffazione dei mafiosi sullo stato, incapace di impedire loro di comandare anche in carcere e nel contempo di continuare ad esercitare il loro dominio criminale fuori, in attesa di una perizia medico-legale compiacente o dell’immancabile (allora) assoluzione per insufficienza di prove. Così la mafia era e ancora sarebbe sempre più forte dello Stato e la battaglia contro la mafia persa prima ancora di cominciare.

In ogni caso, a quelli che invocano lo stato di diritto o la Costituzione per perorare la causa dei mafiosi al 41 bis, si può obiettare che sarebbe doveroso pretendere almeno delle scuse da chi  si è «impegnato» coscienziosamente a sabotare la democrazia, altrimenti toccheremmo i vertici dell’assurdo svilendo  lo stato di diritto e la Costituzione al rango di porte girevoli o bancomat.

Pensare una soluzione responsabile e praticabile

Fatta un po’di chiarezza, resta il caso Cospito, ormai diventato una sorta di tempesta perfetta capace di produrre danni a raggiera.

La prima soluzione è lasciar cadere le richieste del detenuto (perché lo sciopero della fame è una sua  scelta personale; perché le strutture di Milano-Opera assicurano un’adeguata assistenza medica; perché le controproducenti violenze degli anarchici in Italia e in Europa di fatto sono di ostacolo).

L’altra soluzione è trovare una risposta praticabile. Ma quale?

Si potrebbe partire da una domanda: fuori del perimetro specifico della criminalità mafiosa, il 41 bis é  così indispensabile come lo è per i boss irriducibili? Se la risposta fosse NO si dovrebbe tradurla in un congruo aggiornamento della disciplina normativa, sia dei circuiti carcerari di sicurezza (41 bis e AS 1-2-3) sia della tipologia dei detenuti di ciascun circuito, riservando ai mafiosi il regime di maggior rigore del 41 bis (e blindandolo contro le ricorrenti tentazioni di rimuoverlo).

In un simile contesto, l’eventuale revoca del 41 bis a Cospito non suonerebbe come provvedimento ad personam, ma piuttosto come rientrante in un disegno più ampio di carattere generale.

Escamotage? Sofisma? Tempi troppo lunghi? Può darsi, ma sarebbe un modo per provare quantomeno a ridurre i danni. E comunque (volendo introdurre a margine di tanta cupezza una nota leggera) si opererebbe in sintonia col ministro Nordio che  non ama chi vede mafia ovunque…

Ovviamente, una simile soluzione postula un minimo di concordia in Parlamento. Dove invece sembra regnare – almeno in alcuni – la propensione ad utilizzare anche atti “sensibili” riservati come una specie di manganello da brandire contro gli  odiati avversari. Magari richiamandosi subito dopo a Paolo Borsellino, dimenticando però il suo monito «unitario» perché la lotta alla mafia sia «un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti aiuti a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà[…]».

* Fonte: Rocca n°06 – 15 marzo 2023

Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

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