La corruzione, un fenomeno criminale difficile da misurare
Difficile misurare il fenomeno della corruzione “essendo elusivo, latente” come aveva sottolineato, tempo fa, Raffaele Cantone sino al 2019 presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (organismo istituito nel 2012 con compiti in materia di vigilanza e controllo anche sui contratti pubblici esclusi dal campo di applicazione del c.d. “Codice degli appalti”), aggiungendo che i partecipi del c.d. pactum sceleris “non hanno (quasi mai) interesse a denunciarlo perché entrambi risulterebbero punibili; la denuncia si trasformerebbe, cioè, nella confessione di un reato”.
La percezione sulla diffusione della corruzione rimane sempre alta e l’Italia nel rapporto sulla “corruzione percepita” per il 2022 – rapporto pubblicato ogni anno sin dal 1995 da Transparency International – è stata posizionata al 41° posto su 180 paesi con il punteggio di 56, ancora al di sotto della media UE (64). Questo “indice di corruzione percepita” si basa su interviste e questionari rivolti ad interlocutori ritenuti qualificati, quali esperti ed operatori economici, o a campioni ritenuti rappresentativi di cittadini.
Un importante contributo nella valutazione del fenomeno in esame ci viene dato ancora una volta dal Servizio Analisi Criminale (Ufficio in cui presta servizio personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia Penitenziaria) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza con il report sui “Reati corruttivi” redatto, alcuni giorni fa, ed inviato a tutte le articolazioni dipartimentali, ai Questori e a tutti gli uffici delle Specialità della Polizia di Stato.
Nello studio vengono considerati una pluralità di reati (dodici) espressione di atti corruttivi o, comunque, rientranti nel concetto della corruzione, e analizzati dati statistici estratti dalla banca interforze relativi ad un arco temporale molto ampio che va dal 2004 al 2022 (anno, quest’ultimo, in cui i dati non sono ancora stabilizzati) individuando anche le aree geografiche risultate maggiormente interessate dal fenomeno.
L’abuso d’ufficio (art.323 c.p.) è ancora l’unico delitto ad aver mantenuto un trend sostanzialmente costante nel periodo in esame, dai 1.016 casi denunciati del 2004 ai 1.157 del 2021, con una particolare recrudescenza rilevata nel 2020, con 1.365 casi, cui ha fatto seguito un deciso decremento nel 2022 con 898 casi.
Relativamente all’ultimo triennio, rapportando i delitti denunciati per abuso d’ufficio alla popolazione residente, si ottiene un valore medio nazionale di 5,91 eventi per 100mila abitanti con una concentrazione dei casi nelle regioni centro-meridionali (Calabria e Basilicata in testa con il rapporto, rispettivamente, pari a 15,86 e 14,30 e la Lombardia in coda con 2,89 casi).
Il reato di abuso d’ufficio, già oggetto di modifiche restrittive nel 2020, è sempre percepito dai sindaci come un forte rischio di responsabilità penale, fatto che incide non poco sull’attività amministrativa (ma va anche rilevato il modesto numero di condanne, da 82 nel 2016 a 18 nel 2021, per i processi arrivati a dibattimento).
Per le altre fattispecie analizzate nello studio i valori risultano più contenuti anche se, nell’ultimo triennio, si registra una flessione per la concussione (art.317 c.p.) da 45 a 33 casi, per la corruzione (artt. 318 e 319 c.p.) da 81 a 51 casi e per l’istigazione alla corruzione (art.322 c.p.) da 97 a 77 casi.
Le sintetiche considerazioni conclusive dello studio “evidenziano una generale tendenza alla diminuzione della specifica delittuosità” con la precisazione che “tali risultanze non possono essere considerate definitive per le particolari caratteristiche di tali fattispecie e la conseguente indubbia rilevanza della parte sommersa del fenomeno”.
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