Alpi/Hrovatin. Una storia sbagliata
Mi richiama talvolta la tua voce,
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch’erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.
…
L’immagine è l’incipit della mostra preparata per il ventennale della morte di Ilaria.
Per tutto l’anno 2023 e anche per il 2024 accompagneremo i nostri pensieri per Ilaria con le immagini di questa mostra, curata da Ludovico Pratesi e con opere fotografiche di Paola Gennari Santori, unite a testimonianze scritte di persone ognuna delle quali sottolinea un dettaglio, un sentimento, un’emozione. “Vorrei che in queste immagini potessimo parlare con lei, in una conversazione che è anche con noi stessi. Il nostro impegno deve essere quello di tenere Ilaria viva, e questo non è solo un valore ma una necessità”. (da un’intervista di Paola Gennari Santori)
La prima immagine è accompagnata dai versi di una poesia di Quasimodo della raccolta “Acque e Terre” del 1920/1929. È la nostalgia non solo come rimpianto. Come se Ilaria ci dicesse “portatemi con voi, ricordate la mia vita che non voleva finire”.
***
Anche questo 20 marzo 2023 (ventinove anni dopo “il più crudele dei giorni” a Mogadiscio) ci ricorda che è l’amore per Ilaria che ha alimentato la tenacia, la forza di Luciana e Giorgio, e di chi è stato ed è al loro fianco per avere giustizia, sempre.
Ed è l’amore per l’Italia, la legalità e la giustizia che troviamo nelle parole del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “… L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lacera profondamente la coscienza civile del nostro Paese e suona drammatico monito del prezzo che si può pagare nel servire la causa della libertà di informazione.
…Nel loro lavoro d’inchiesta avevano trovato notizie di traffici illeciti, avevano raccolto testimonianze, stavano compiendo verifiche e riscontri che interpellavano anche il nostro Paese. L’agguato… ha spezzato due vite e trafitto la libertà di tutti. “
(dalla lettera del Nostro Presidente inviata il 20 marzo 2019)
Ho condiviso l’amore di Ilaria per la sua Somalia che traspare dai suoi lavori (in poco più di un anno vi si recò ben sette volte). Sono stata a Mogadiscio se pur per poche ore (30 gennaio/1 febbraio1996 per la Commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione, 1994/1996, in missione a Mogadiscio e Gibuti).
Aveva già raccolto materiale importante, Ilaria, e anche le prove di un traffico d’armi e di rifiuti tossici individuando responsabilità: per questo è stata uccisa insieme a Miran, prima che potesse raccontare “cose grosse” come aveva annunciato alla Rai.
Dell’ultima missione di Ilaria si conosce tutto l’itinerario: anche che a Bosaso è stata minacciata e sequestrata per poco tempo da esponenti di clan locali; che ha intervistato il sultano di Bosaso Mussa Bogor. Dell’intervista ci sono giunti solo pochi frammenti ma, dieci anni dopo, dichiarerà davanti alla commissione d’inchiesta nel febbraio 2006:” Ilaria sapeva e voleva conferme sui traffici di armi e rifiuti tossici. … tutti parlavano dei traffici, del trasporto delle armi, dei rifiuti …chi diceva di aver visto … non si vedeva vivo o spariva, in un modo o nell’altro moriva …” La relazione di maggioranza non ne tenne conto (come di molte altre dichiarazioni testimonianze e documenti) e confermò la tesi del suo Presidente, avvocato Taormina, annunciata sei mesi prima della fine dei lavori:”Nessun mistero su quelle morti, nessuna indagine scottante svolgevano Ilaria e Miran, erano a Bosaso a prendere un po’ di sole, in vacanza, al mare … si è trattato di un tentativo di sequestro o di rapina finiti male”
In questi giorni ho ripercorso l’itinerario che da quel 20 marzo arriva fino ad oggi.
Già dai primi lavori della Commissione bicamerale d’inchiesta (non arrivò alla conclusione per lo scioglimento anticipato delle Camere) e delle inchieste giornalistiche si erano capite molte cose: via via sono state confermate e ne abbiamo capite altre, sempre di più.
Si sapeva già di altre morti prima fra tutte quella di Monsignor Salvatore Colombo, ucciso il 9 luglio 1989 a Mogadiscio sul sagrato della sua Cattedrale. Fin dal 1995 risultava alla Commissione che si era trattato di un’esecuzione forse collegata anche alle indagini che poi seguirà Ilaria: traffici vari anche di armi in contiguità con la cooperazione internazionale; di certo si sa del suo amore per la popolazione somala e del suo intenso impegno per la pacificazione del Paese e per scongiurare la guerra civile che poi invece ci fu e molto aspra. Anche per questa morte non c’è verità e quindi nemmeno giustizia. Nel centenario della nascita di Monsignor Colombo, verso la fine dell’anno scorso, i frati minori, Ordine a cui apparteneva, hanno deciso di promuovere la causa della sua beatificazione, morto martire “nell’adempimento della sua missione di pace e di evangelizzazione”. L’auspicio è che si faccia: saremo lieti di partecipare quando avverrà.
Si sapeva già praticamente ogni cosa quando nel gennaio 1999 esce il libro “L’esecuzione inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (di Giorgio e Luciana Alpi Mariangela Gritta Grainer Maurizio Torrealta – Kaos Edizioni)”. Varrebbe la pena di ripubblicarlo per il trentennale.
Quel libro raccoglie il lavoro meticoloso di Luciana e Giorgio, di giornalisti come Maurizio e dell’indagine poderosa e preziosa della commissione bicamerale d’inchiesta che individuò anche i testimoni dell’agguato e di quel Giancarlo Marocchino, chiacchierato e potente imprenditore che vediamo nelle immagini dell’ABC mentre recupera i corpi di Ilaria e Miran dopo l’agguato, che avrà un ruolo chiave e ambiguo in tutta la vicenda.
Si sapeva che quel 20 marzo a Mogadiscio si era trattato di un’esecuzione a uccidere Ilaria e MIran e che da subito si era tentato di accreditare altre tesi: un attentato dei fondamentalisti islamici; una rappresaglia contro i militari italiani; un tentativo di sequestro, o di rapina finiti male.
Che nessun militare o carabiniere si reca sul luogo del duplice delitto, come invece il generale Carmine Fiore scriverà a Luciana e Giorgio insieme ad altre bugie ed omissioni. Omissione di soccorso?
Si sapeva che erano spariti subito: il certificato di morte redatto sulla nave Garibaldi dal dottor Armando Rossitto (che leggerà con emozione un passo del suo diario riferito al giorno dell’eccidio, nel 25ennale), il body anatomy report redatto dalla compagnia Brown Root di Houston, almeno tre block notes di Ilaria, la sua macchina fotografica e videocassette registrate.
Si sapeva che, durante il viaggio di ritorno in Italia delle bare da Mogadiscio a Ciampino, i bagagli erano stati violati. Lo confermerà Gianni Minà nel 1998 in “Storie”, presenti Giorgio e Luciana che si accorge, dal filmato, che a Luxor si vedono chiaramente i bagagli chiusi con una corda e ceralacca, mentre sono caricati sull’aereo di Stato, ma a Ciampino i bagagli arrivano senza ne la corda ne la ceralacca. Commenterà Gianni Minà: “Solo l’angoscia di una madre poteva cogliere quel dettaglio così importante ed inquietante”.
Si sapeva che lo spostamento dei corpi dalle bare di alluminio a quelle di legno, a Ciampino, avviene senza la presenza di un magistrato e che si impedisce a Luciana di comporre il corpo di Ilaria, di metterle un vestito pulito.
Si sapeva che sul corpo di Ilaria non si era eseguita l’autopsia ma solo un “riscontro esterno” dal quale appariva chiaro comunque che si era trattato di un solo colpo in testa, sparato a contatto o a distanza ravvicinata … aprendo la portiera o dal finestrino abbassato.
Senza autopsia, si avvia un balletto delle perizie: si è sparato da vicino, si è sparato da lontano …è stato un unico proiettile a colpirli tutti e due!
Quel libro del 1999 è la dimostrazione che in tutti questi anni si sono sviluppate due tipi di inchieste e di narrazioni.
L’inchiesta (e narrazione) nostra, finalizzata alla ricerca della verità e dunque alla giustizia, con un percorso complesso lungo fino a oggi: di verità parziali che hanno costruito, via via come in un puzzle, puntigliosamente, quanto è accaduto prima del 20 marzo, quel giorno stesso e anche dopo. Lo abbiamo fatto senza mai dire o scrivere nulla che non fossimo in grado di sostenere con documenti dichiarazioni informative testimonianze.
Le inchieste (e narrazioni) parallele e divergenti, finalizzate a occultare le verità che in itinere emergevano con Giorgio e Luciana e con la comunità #NoiNonArchiviamo. In altre parole in questi 29 anni c’è stato chi ha mentito; chi sapeva e sa e ha taciuto e continua a tacere; chi ha fatto carte false, depistato per scopi ignobili descritti anche in alcune sentenze della magistratura.
Non si sapeva ancora ed è davvero gravissimo che chi doveva e deve cercare la verità e fare giustizia abbia invece lavorato e lavori ancora per contrastare quanto emergeva ed emerge con grande evidenza: un lavoro che all’incontrario va!
Luciana e Giorgio così concludono l’incipit al libro “L’Esecuzione”: “Cara Ilaria … sappi, tesoro, che tante persone ti hanno tradito, hanno cercato di rendere difficile ogni ricerca della verità. …
L’anno scorso abbiamo richiamato “Una storia sbagliata” di Fabrizio De André di cui ripropongo oggi alcuni versi.
… È una storia vestita di nero
… È una storia mica male insabbiata
… Non ci chiedere più come è andata
… Tanto lo sai che è una storia sbagliata”
(la canzone è dedicata a Pier Paolo Pasolini, uscita con un 45 giri nel 1980 per un doc. Rai).
Pier Paolo Pasolini è stato massacrato il 2 novembre del 1975.
Fu Miran Hrovatin a filmare le riprese del funerale qualche giorno dopo, il 5 novembre.
Una storia sbagliata quella di Ilaria e Miran, dopo la loro esecuzione. Mi sono sempre chiesta perché Ilaria si fosse portata proprio il libro di Pasolini “Scritti Corsari” per questa missione in Somalia. Di certo c’era una comune passione con Miran per PPP, questo grande “poeta civile”.
Forse c’era anche una specie di “profezia” che li condusse ad essere assassinati brutalmente come lui. Ilaria avrebbe voluto e potuto non solo dire “Io so …” ma, come fa Ilaria (Giovanna Mezzogiorno), ad un certo punto, nel film di Ferdinando Vicentini Orgnani; sullo sfondo della strada Garoe Bosaso, costruita con i fondi della cooperazione italiana, “prova” il suo servizio davanti a Miran (Rade Sherbedgia): “Per darvi un’idea di quanto sia utile spendere centinaia di miliardi della cooperazione in Somalia ecco…questa è la strada Garoe Bosaso una strada…che almeno è servita per coprire ogni sorta di porcherie tossiche e radioattive che l’occidente ha la buona abitudine di affidare a questi poveri disgraziati del terzo mondo, tutto con la complicità di politici, militari, servizi segreti, faccendieri italiani e somali….
“Io so. Io so e so anche i nomi e adesso ho anche le prove”. Non andrà mai in onda, non c’è neanche un servizio di Ilaria in questa sua ultima missione.
Si sapeva già che persone, con incarichi importanti o che erano in Somalia quel 20 marzo tragico, avevano fatto dichiarazioni “imbarazzanti”. Il Colonnello Fulvio Vezzalini che comandava l’intelligence di Unosom (sono suoi anche i documenti contenenti la menzogna di un solo proiettile vagante per due): “quando andrò in pensione racconterò la verità!”
Il dottor Giuseppe Pititto, era stato affiancato al Pm Andrea De Gasperis dal capo della procura Michele Coiro nei pressi del 20 marzo 1996 per evitare l’archiviazione. Aveva ricevuto materiali importanti da una componente della commissione bicamerale d’inchiesta: il “girato” delle riprese dell’ABC il giorno dell’agguato, copia dei registri di bordo di navi ed elicotteri … Il nuovo Pm dà impulso all’inchiesta (riesuma la salma dispone l’autopsia indaga il sultano di Bosaso intervistato da Ilaria); ma poco più di un anno dopo il nuovo Procuratore capo Salvatore Vecchione gli toglie l’inchiesta avocandola a sé, affiancato dal dottor Franco Ionta. Giuseppe Pititto dichiarerà:” scoprite perché mi hanno sollevato dall’incarico prima di interrogare i testimoni fatti venire dalla Somalia, e scoprirete la verità”. Fino ad oggi non ha mai rivelato l’ipotesi investigativa che orientava il suo buon lavoro.
Si sapeva già che un cittadino somalo Hashi Omar Hassan era stato arrestato in modo sorprendente il 12 gennaio 1998 al suo arrivo in Italia: sarà accusato di concorso in duplice omicidio per l’uccisione di Ilaria e Miran, condannato in via definitiva nel 2000 a 26 anni di carcere. Ne sconterà 17 perchè il Tribunale di Perugia dichiarerà Hashi innocente; sarà subito scarcerato “per non aver commesso il fatto”, come sta scritto nelle motivazioni della sentenza del tribunale di Perugia del 12 gennaio 2017, stabilendo altresì che l’unico teste d’accusa, “il soggetto Ahmed Ali Rage detto Jelle era falso e coinvolto in attività di depistaggio di ampia portata. Attività di depistaggio che ben possono essere avvalorate dalla modalità della fuga del teste (prima del processo ndr) e dalle sue mancate ricerche …”
Hashi è stato un vero capro espiatorio, costruito dall’indagine che ancora oggi all’incontrario va, come abbiamo sempre sostenuto.
Nel venticinquennale, il 20 marzo 2019, in un incontro solenne presso la Camera dei Deputati, alla presenza di autorità istituzionali della Repubblica, ci siamo e abbiamo chiesto:
Cosa mai deve succedere ancora dopo la sentenza di Perugia per avere verità e giustizia?
Anche la terza richiesta di archiviazione è stata respinta ma niente altro si sa dalla Procura di Roma.
Anzi no, una novità c’è, negativa: Hashi Omar Hassan è stato assassinato il 6 giugno 2022 a Mogadiscio. Una bomba è esplosa nella macchina in cui viaggiava. Presumibilmente era andato a trovare la sua famiglia ma qualcuno sapeva … Non potrà più raccontare la sua storia. “L’assassinio di Hashi si colloca dentro una “lunghissima scia di persone che hanno avuto a che fare con la tragica storia di Ilaria e Miran. Che sono morte, assassinate o in circostanze non limpide”, come abbiamo raccontato in più occasioni.
Questa morte di Hashi ci addolora profondamente; doveva scuotere le autorità che hanno il compito di arrivare a giustizia e verità su chi ha ucciso Ilaria e Miran, esecutori e mandanti.
Si impegneranno forse per Hashi che è stato due volte vittima nel nostro Paese?
È necessario che non sia più la Procura di Roma a occuparsi di questa tragedia, dopo ventinove anni.
In ogni caso #NoiNonArchiviamo
Fonte: Articolo 21
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