Il difficile compito della giustizia: dare voce agli esclusi e speranza alle vittime
Proprio pochi giorni prima della tragedia di Cutro è apparso a stampa il libro di Alessandra Ballerini – “La vita ti sia lieve. Storie di migranti e altri esclusi” – che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, come quell’ennesimo naufragio di uomini, donne e bambini non sia né un incidente né una fatalità, ma l’effetto inesorabile di politiche ottuse e di codici di comportamento illegali.
La traversata ha sempre rivestito un ruolo determinante nella progettazione di un destino migratorio, come ben sapevano i protagonisti dell’emigrazione italiana che, per oltre un secolo tra ‘800 e ‘900, a milioni affrontarono viaggi transoceanici. Ma in quella storia pur segnata da sofferenze oltre che da successi, il naufragio e la perdita di vite umane era un evento-limite. Negli ultimi trent’anni invece non solo il canale di Sicilia, ma intere zone del Mediterraneo si sono trasformate in cimiteri marini e il naufragio, talvolta a poche miglia dalla salvezza, è diventato una costante delle dinamiche migratorie suscitando risonanza e scandalo solo quando per il numero delle vittime assume il carattere di una strage.
Di migrazione e di molto altro ci parla Ballerini in questo che non è un saggio di carattere giuridico, anche se la riflessione sui principi costituzionali, sulle leggi e sulla loro applicazione innerva ogni sua pagina.
Il libro non è nemmeno un diario, anche se vi confluiscono le esperienze quotidiane di chi, con molte vittorie e altrettante frustrazioni, ha scelto di assistere legalmente “clienti” di una tipologia molto particolare. Come «avvocato di strada», Ballerini si occupa infatti di emarginazione, di violenza contro le donne e di abusi di minori; come osservatrice dell’associazione Antigone s’impegna nella tutela di diritti e frequenta dall’interno il nostro e altri sistemi penali e penitenziari; come avvocato e consulente di “Terres des hommes” e cofondatrice di “Adif, terre e frontiere” è impegnata sul fronte dell’accoglienza/detenzione dei migranti sbarcati vivi sulle nostre coste, ricorre contro le espulsioni coatte di profughi, è parte attiva in processi per naufragi colposi, come quello dell’11 ottobre 2013 nel quale trovarono la morte intere famiglie di profughi siriani, 268 persone tra cui 60 bambini.
Certo, questo è un libro di testimonianza, declinata in tante storie differenti, con nomi, volti, scenari diversi e dilatata in un arco cronologico che va dal G8 di Genova al presente, dall’ecuadoregno Carlos, «primo cliente» tra i migranti a rischio di espulsione all’ultima notifica dello status di rifugiato conquistata per J., una donna mutilata, rapita, vittima di violenza e coraggiosamente ribelle.
E’ un libro di fatti raccontati con brevità e chiarezza, quelle stesse caratteristiche che, secondo Calamandrei, sono i mezzi sicuri per vincere le cause.
Ballerini però non vuole solo vincere le cause per cui si batte come avvocato della difesa, ma con queste storie compone una requisitoria efficace e tagliente e scrive un atto d’accusa. Sul banco dell’imputato sta anzitutto lo strabismo dei governi italiani che vedono nei flussi migratori atti di ostilità e li affrontano esclusivamente come problemi di sicurezza, rifiutando di riconoscere che si tratta dell’esercizio di un diritto – l’articolo 13 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 riconosce all’uomo libertà di movimento dentro e fuori dal proprio paese, l’articolo 14 sancisce il suo diritto a cercare di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni e la nostra Costituzione garantisce all’art.10 quello stesso diritto d’asilo – e che nella storia dell’umanità la migrazione è un fenomeno strutturale, capace di farsi positivo motore di sviluppo della società.
Sotto accusa sono le scelte legislative che, nel nostro paese, hanno criminalizzato l’immigrazione “irregolare” inventando un reato, quello di clandestinità, che ha in un attimo mutato la condizione di centinaia di migliaia di persone. Ma l’irregolarità è conseguenza dell’inadeguatezza delle politiche migratorie nazionali e internazionali, che colpiscono una non piccola parte di umanità sofferente, in cammino per fuggire persecuzioni, povertà, guerra e violenza.
Sotto accusa è l’applicazione pratica di quelle leggi che autorizza la reclusione arbitraria dei “rei di clandestinità” nei CIE, centri di identificazione e espulsione, in condizioni di vita indegne di paesi civili, o ne decreta lo spostamento/deportazione in altri luoghi o addirittura il rimpatrio coatto negando il diritto alla protezione umanitaria o lo status di rifugiato.
Il centro di Contrada Imbriacola a Lampedusa, fondale di tante pagine di questo libro, è il contesto di una sorta di «illegalità di Stato» che su persone già duramente provate, si esercita con la pressione ostile di una burocrazia lenta e farraginosa.
Sotto accusa sono dunque anche le procedure burocratiche contaminate di discrezionalità, connotate da bizantinismi e lungaggini, raccontate in queste pagine attraverso la casistica di veri e propri calvari vissuti dentro le istituzioni dello Stato di diritto da uomini e donne provenienti dai quattro angoli del mondo, Africa, Medio Oriente, America centrale e meridionale.
L’accusa si appunta concretamente anche su chi abusa dei suoi poteri, su chi si trincera dietro i regolamenti e, per pigrizia o indifferenza, in divisa o in abiti civili, tra le mura di un carcere o in un’aula di tribunale, alimenta l’imbarbarimento della vita collettiva.
Inoltrandosi nelle pagine del libro il lettore trova però anche l’elogio dell’Italia migliore, degli uomini e delle donne di buona volontà che si prodigano per fare giustizia e a dare sostegno e speranza alle vittime.
Il retro della medaglia dei soprusi raccontati in tanti dei sessanta capitoletti, che compongono il volume, è il mosaico di gesti di solidarietà personale, la dedizione generosa dei volontari, il lavoro di denuncia di fotografi e reporter, l’assistenza legale, la mobilitazione di cittadini illuminati e ricchi di umanità. Da Lampedusa a Ventimiglia, dalle questure alle redazioni dei giornali, dalle “gabbie” dei CIE agli studi legali il loro impegno si dispiega a fianco di quanti sin dal titolo Ballerini chiama «gli esclusi», esclusi dal dominio della lingua, dalla comprensione delle regole, esclusi dal godimento della cittadinanza, dal riconoscimento e dall’esercizio di diritti, esclusi perché schiave o schiavi, privi di risorse, di affetti e persino di identità.
Tra accusa, difesa, narrazione e riflessione il libro si configura come un percorso esemplare dentro la professione dell’avvocato che quando è mosso da «fame e sete di giustizia» è vigile coscienza critica nella società.
Fonte: Articolo 21
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