Canegrate. Un angolo della Grande Milano dove l’anima conta (davvero) più dei soldi
Ma perché mai a Roma c’è una via Canegrate? Quando lo scopro su google ho un lampo di curiosità. Già, per quale motivo una via dedicata nella capitale a questo piccolo comune tra Milano e Varese, dove non ci sono state né storiche battaglie né eventi speciali della storia nazionale?
“Chissà”, come nella canzone di Lucio Dalla. Però non mi dispiace affatto. Perché la sera di venerdì scorso mi ha reso caro questo nome, che vuol dire probabilmente “Case annerite”.
Il sindaco si chiama Matteo Modica. È giovane, umile, entusiasta. Soprattutto della sua bimba di sei mesi, che contempla innamorato in foto mentre finisce la cena. Ed è durante la cena che vengo conquistato da una sua orgogliosa osservazione. “Vede, questo non è un paese ricco, soldi non ne girano tanti. Però è bello viverci, perché è la società che è bella. Abbiamo 12mila abitanti e trenta associazioni vere, di quelle che si impegnano e fanno cose per gli altri”. Si chiamano Gulliver, Cultura dei Sogni, Comitato accoglienza bambini di Chernobyl, Cooperativa Bell’Unione… La loro sede è dedicata a Peppino Impastato. Insomma, non avrà soldi ma ha un’anima.
E questa, mentre si apre il dibattito su una Milano che si vorrebbe sempre più ricca a costo di perdere i poveri e il popolo del 27, mi appare una splendida notizia. Gli assessori, giovani anche loro, gli fan contorno, insieme ad alcuni cittadini che danno smalto alla società civile, compreso il consigliere di opposizione che guida la commissione antimafia. Modica è alla testa di una lista civica di centro-sinistra.
“Qui il centrosinistra vince sempre”, mi informa Federica (Marcucci), coordinatrice del locale Tavolo AntiMafie. E il segreto dovrà pur stare in questi legami sociali che nascono in ogni angolo. Recentemente ha fatto il pieno (erano disponibili trenta posti) un seminario promosso con alcune esperte sul piacere (sessuale) femminile: “Sembrava un tema tabù, ma non c’era abbastanza posto per tutte”.
L’incontro pubblico su come riconoscere e combattere le mafie è allestito nella grande sala della scuola media. L’hanno intitolata ad Aldo Moro, ma la chiamano la “sala cittadina”, anche se la comandante della polizia locale ammonisce che sarebbe più giusto chiamarla “sala civica”. Come che sia, ne sono tutti fieri. Fatta ad anfiteatro. È il primo incontro pubblico che vi si tiene. Realizzata quasi per metà con il Pnrr e con un bando regionale contro l’amianto nelle scuole; per il resto, spiega il sindaco con soddisfazione, grazie a un mutuo sottoscritto dal comune. Lì trovi sindaci e amministratori di tutta la zona, giovani delle associazioni, insegnanti, carabinieri in congedo. C’è anche un gruppo di ragazze di Parabiago che ricevono una pergamena in premio per l’attività svolta su mafia e donne. Già. Perché è in questi legami sociali che si è sviluppata una speciale sensibilità antimafia.
Qui c’è un muro dedicato alle vittime della mafia, ogni mattone un nome. Il centro sportivo è dedicato a Falcone e Borsellino. E tutti parlano della manifestazione nazionale del 21 a Milano, la giornata nazionale della memoria delle vittime innocenti, annunciando presenze di scuole e gonfaloni.
Qua un giorno si levò una muraglia contro l’arrivo di un cantante neomelodico catanese, nipote di boss e che i boss con le canzoni celebrava. Gli aveva dato il palco una pizzeria, annunciando trionfante il “sold out”. “No, solo out”, controbatterono i partiti del consiglio comunale, compresa Forza Italia. E il permesso fu negato. Se ne parlò molto e oggi la pizzeria ha chiuso i battenti.
Scrissero allora i consiglieri: “Niko Pandetta a Canegrate non ha cantato e non canterà mai, almeno fino a quando non smetterà di rilasciare interviste in cui nega l’esistenza della mafia o rivendica i ‘valori’ che parenti mafiosi gli avrebbero trasmesso”.
Lo dico? Basterebbe per meritare quella via a Roma.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 13/03/2023
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