La libera scuola e gli indifferenti
Il ministro Giuseppe Valditara è uomo preciso. Se sbaglia si corregge. Gli è capitato, parlando di scuola con dei ragazzi, di dire che “l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”.
Poi (ma solo dopo una tempesta di critiche) si corregge e spiega che si è trattato di un lapsus: voleva dire umiltà e gli è scappato umiliazione. Può succedere. Ma ora si ricomincia. La preside di un liceo fiorentino scrive una lettera agli studenti e spiega che il fascismo in Italia è nato anche per l’indifferenza di chi assisteva ai pestaggi per motivi politici.
Il ministro Valditara se l’è presa a male e ha reagito contestando alla preside di fare indebitamente politica e ammonendola che “se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure”. Nuova bufera di critiche e polemiche e nuova marcia indietro del ministro. Che però questa volta non parla di lapsus. Sostiene che di “sanzioni” non ha proprio parlato. Facendo così un grave torto alla sua e alla nostra intelligenza. Perché se “misure” non è sinonimo di sanzioni, vuol dire che il ministro si propone di prendere alla preside le misure per farle confezionare un qualche abito. Gentile ma assurdo e quindi non credibile.
Lasciamo da parte le considerazioni talmente ovvie e banali che non vale la pena. Tipo che l’art. 21 della Costituzione stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Le parole “diritto” e “liberamente” non lasciano spazi ad interpretazioni di tipo orwelliano o peggio. Piuttosto entriamo nel merito della “indifferenza”.
Piero Calamandrei, che la Costituzione non solo la conosceva, come dovrebbe ogni ministro che giuri su di essa, ma che addirittura l’ha scritta in quanto componente della Assemblea costituente della Repubblica, proprio rivolgendosi ai giovani ebbe a scrivere che una delle peggiori offese che si possano fare alla Costituzione è l’indifferentismo alla politica, nel senso di partecipazione alla vita della polis. Spesso, molti giovani, e non solo, pensano: “La vita è bella, siamo liberi, abbiamo cose più interessanti di cui occuparci della politica, tanto poi i politici sono tutti uguali e non cambia mai niente. Meglio stare con gli amici, uscire, divertirsi…”.
A Calamandrei questi discorsi fan venire in mente un apologo: due migranti italiani attraversano l’oceano su un piroscafo traballante; uno dorme nella stiva, l’altro sta sul ponte; c’è una burrasca, il piroscafo oscilla paurosamente e il migrante spaventato corre nella stiva e sveglia il compagno gridando: “Beppe! Se continua questo mare, il bastimento affonda!”.
E l’altro gli risponde: “Che me ne importa, non è mio il bastimento!”. È questo l’indifferentismo alla politica, chiosa Calamandrei. Con un monito: “La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai”.
Viene utile a questo punto citare anche Barbara Spinelli là dove parla di una “patologia” che affligge la maggior parte dei politici e quasi tutta la classe dirigente: una perdita di memoria che sconfina nell’amnesia, una profonda sottovalutazione del pericolo che si corre quando si occulta il passato, una mancanza continuativa di coscienza etica. Vale per la mafia, per la quale oggi e sempre si evidenzia nel nostro Paese un chiaro limite culturale.
Quello di percepirla come un problema esclusivamente di ordine pubblico, cogliendone la pericolosità soltanto in situazione di emergenza, quando, cioè, la mafia mette in atto strategie sanguinarie. Trascurando i rischi della convivenza con la mafia quando essa adotta strategie attendiste, dimenticando la sua lunga storia di violenza e quella straordinaria capacità di condizionamento che ha fatto di una associazione criminale un vero e proprio sistema di potere.
Parole che si possono applicare anche alle riflessioni sulla violenza di tipo squadristico (un ragazzo gettato a terra appena fuori della scuola, preso ripetutamente a calci nel ventre e alla schiena da due energumeni appartenenti – stando alle cronache – ad un gruppo di estrema destra); violenza che una preside giustamente condanna, ricordando nel contempo ai suoi ragazzi che il fascismo è stato anche frutto della indifferenza verso simili “azioni” criminali. Una preside, quindi, che se merita qualche “misura” è solo di encomio.
Fonte: La Stampa, 26/02/2023
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