A Palazzo di Giustizia, alla presenza dell’Arcivescovo, inaugurata una mostra dedicata al magistrato ucciso dalla mafia e beatificato dalla Chiesa: «Ha fatto del suo lavoro un cammino di santità».
«Una mostra seguita da un convegno è un evento completo per illustrare una figura, una storia e un evento drammatico come quello che ha coinvolto il giudice Rosario Livatino. Un uomo che ha dedicato la sua vita alla magistratura, con competenza, e proprio facendo il suo lavoro ha incontrato la viltà e la crudeltà». Queste le prime parole con cui l’Arcivescovo, nel Palazzo di Giustizia di Milano, ha inaugurato la mostra a pannelli e video «Sub tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino», a cura di Libera Associazione Forense, Centro Studi Rosario Livatino e Centro Culturale Il Sentiero.
Una rassegna – già esposta al Meeting di Rimini, nella sede di diverse associazioni e in altri Palazzi di Giustizia, come quello di Brescia e prossimamente Palermo – che intende far conoscere la figura di questo magistrato siciliano coraggioso e oggi beato, che ha operato per tutta la sua carriera nell’Agrigentino, ucciso dalla mafia nel 1990 e beatificato il 9 maggio 2021.
Una sorta di viaggio, tra riproduzioni di fotografie, documenti, lettere e immagini, per raccontare la vita troppo breve. spezzata a soli 37 anni, di una «figura splendida e luminosa», come dice Giuseppe Ondei, presidente della Corte d’Appello di Milano.
Il Codice e il Vangelo
«Il luogo che ospita questa rassegna è il più significativo per ricordare un uomo che ha fatto del suo lavoro un cammino di santità – dice l’Arcivescovo -. Questa mostra è qui e parla, ad avvocati, magistrati, cittadini che entrano in questo Palazzo, di un magistrato che ha combattuto il male con le armi della legalità, coniugando il Codice legale con il Vangelo. Un messaggio di grande edificazione, che ricorda la possibilità di un esercizio della propria professione che conduce alla pienezza della vita: per i cristiani alla pienezza della vita cristiana che è la santità. La mostra è un tributo a Livatino, ma anche a chi lavora qui».
Poi, una seconda riflessione: «La storia di questo giovane magistrato mi fa dire come è brutto e volgare il male e come, invece, sia bello, edificante e incoraggiante il bene che si compie con il sacrificio di persone oneste e competenti. Il male abbrutisce le persone e si perde quasi la stima dell’umanità vedendo come si può trattare la vita di un uomo, procedere a un assassinio, desiderarlo da parte dei mandanti. Questo giudice inerme, senza protezione, sembra una vittima, ma si rivela come un principio di vita, che ha segnato anche l’esistenza di due di coloro che sono stati direttamente implicati nell’omicidio, spinti, dal suo modo di morire, a chiedere perdono, arrivando alla conversione. Questo mi fa molto riflettere su come il bene si rivela fecondo».
E, ancora, il riferimento al «rispetto – testimoniato dai ricordi di colleghi, amici, ma anche di mafiosi – che sempre Livatino esprimeva per la persona umana, pure di chi aveva deciso di vivere contro le Istituzioni. Di fronte alla volgarità, ecco l’educazione».
Infine, si chiede l’Arcivescovo, «come la Chiesa ha vissuto il dramma di un suo figlio, di un uomo devoto che andava a Messa la domenica, che ha voluto ricevere la cresima a 35 anni?». Il riferimento – presente, infatti, nei contributi della rassegna – non può che essere a San Giovanni Paolo II, che proprio ad Agrigento nella Valle dei Templi, di fronte a una folla sterminata, il 9 maggio 1993 lanciò il suo anatema ai mafiosi con il famoso «Convertitevi!». Prologo di quelle parole furono gli incontri del Papa con i familiari del giudice Antonino Saetta, ucciso con il figlio Stefano nel 1988, e con il papà e la mamma del giudice Livatino. «La Chiesa – ha concluso l’Arcivescovo – ha interpretato come martirio l’uccisione dei magistrati. Livatino è un esempio e può, nella gloria dei santi, intercedere per tutti coloro che compiono questa stessa strada».
A suggellare la giornata di ricordo è seguito, nella vicina Aula Magna, l’affollato Convegno «Il ruolo del magistrato nella società che cambia: l’esempio del beato Rosario Livatino».
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