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Il re criminale senza più corona che impreca contro un eroe

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Vigliaccheria. Che i mafiosi la pensino tutti come Messina Denaro è noto: fin dal brindisi che salutò la strage in carcere e fuori

Matteo Messina Denaro, il superboss catturato dai carabinieri del ROS e dalla Procura di Palermo dopo una latitanza di trent’anni (più di Riina e meno di Provenzano), rivela un lato del suo carattere che lo accomuna ai comuni mortali.

E sì, perché i mafiosi – non a caso auto denominatisi uomini d’onore – sono convinti (secondo studi qualificati sulla loro identità) di appartenere all’unica realtà all’interno della quale vi siano individui degni di essere riconosciuti come «persone»; mentre si rappresentano il mondo esterno come una realtà «ne­mica», oggetto di predazione, nella quale vivono individui destinati a essere assoggettati, che non hanno dignità umana, quasi si trattasse di esseri disumanizzati, di oggetti.

E invece eccolo lì, sull’autostrada in direzione Palermo, che si lamenta per essere bloccato nel traffico, proprio come un comune mortale. Non più il sovrano con tanto di corona sul capo, assiso in trono, come raffigurato nel quadro esposto nella mostra «facce di mafiosi» organizzata da Sgarbi e Oliviero Toscani a Salemi e ora finito in casa della madre dell’ex latitante. Non un re, ma una persona qualunque, con le insofferenze di tutti.

C’è poi il fatto che MMD in uno dei suoi «covi» ha voluto appendere al muro un poster di Marlon Brando nel «Padrino» di  F.F. Coppola, film che all’evidenza dovrebbe essere uno dei suoi prediletti. Ma quando è in auto, egli sembra piuttosto ispirarsi al capolavoro interpretato e diretto da Roberto Benigni, dove lo zio del boss Johnny Stecchino sostiene appunto che il vero problema di Palermo, una «piaga grave», è proprio… il traffico.

Sembra di essere su «Scherzi a parte». Invece si tratta di una cosa reale e tremendamente seria, perché siamo all’interno di una chat con la quale MMD comunica con due donne conosciute durante la chemioterapia.

Il viaggio è del 23 maggio 2022, trentesimo anniversario della strage di Capaci, «l’attentatuni», un crimine orribile di cui MMD dovrebbe saper tutto essendo stato condannato come uno dei responsabili. L’ingorgo che blocca l’auto del boss è dovuto alla commemorazione di quella strage e qui MMD riesce a dare il meglio di sé, imprecando con veemenza contro le iniziative di memoria e celebrazione di quello che in Italia è considerato  un eroe inarrivabile, mentre MMD lo gratifica di un epiteto assai pesante e offensivo, non solo in Sicilia.

Questa volta il film di Benigni non lo ispira, perché qui si impreca con un blando «Santa Cleopatra», ben diverso dalla sguaiata volgarità con cui MMD reagisce al fatto di essere rimasto invischiato (signora mia!) nel traffico.

In fondo nulla di nuovo. Che i mafiosi la pensino tutti come MMD è cosa nota.

Fin dal brindisi vigliacco e scomposto che salutò in carcere e fuori l’esecuzione del nemico giurato di Cosa nostra.

Poi dalle parole di Totò Riina intercettate in carcere nei colloqui con un codetenuto. Tra i tantissimi altri esempi possibili, vorrei ricordare una conversazione intercettata nella quale il terzogenito di Riina (Giuseppe Salvatore, detto Salvuccio) irride al cippo che ricorda la strage di Capaci, esclamando con tono dispregiativo «ci appizzano ancora le corone di fiori, a ‘stu coso».

Rispetto a MMD, un vero gentleman!

Fonte: Corriere della Sera

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