Lombardia. Piccola eresia per il futuro: insistere con Majorino anche se perderà
Qui si farà oggi un modesto ed eretico auspicio. Rivolto alle elezioni regionali lombarde. Non quelle prossime future, ma quelle successive. Per le prossime non resta in fondo che partecipare, far partecipare e attendere.
Vedo che i sondaggi per Pierfrancesco Majorino, candidato di Pd, 5Stelle e Sinistra-Verdi, sono problematici. Il che non è una novità, in una Lombardia che consente la vittoria del centro-sinistra in tutti i capoluoghi di provincia ma non l’ha mai consentita, da che esiste l’elezione diretta del presidente, a livello regionale.
Però intanto occorre riflettere su un punto: in quasi trent’anni il candidato del centro-sinistra è cambiato sempre. A ogni turno è stato scelto all’ultimo, messo in competizione, applaudito nella breve corsa, subito dimenticato come possibile leader regionale. Quasi vi fosse una giostra su cui a ogni giro sale per statuto una persona sempre diversa. Poi tutto si frantuma e il leader non esiste più. Quello offerto agli elettori era inadatto, abbiamo scherzato.
Un conto è governare, si dice, un conto stare all’opposizione. E infatti sono rimaste memorabili, da consegnare alla storia, le lotte condotte dall’opposizione lombarda in tre decenni.
Domanda numero uno: come fa un partito (o uno schieramento politico) a esprimere un leader se mostra di non averne, visto che lo cambia a ogni giro e solo per uno sputo di mesi? Come fa a trasmettere fiducia se non ha una faccia, e se per di più non ne ha una neanche a livello nazionale visto che pure quella cambia praticamente ogni anno (fra l’altro a parità di ceto politico)? Che rapporto di stima, di conoscenza, di emozioni, può mai stabilirsi con una meteora?
Domanda numero due: davvero chi perde una volta in queste condizioni non è ricandidabile la volta successiva? Si potrebbe mai dire in una regione dove si è visto Mino Martinazzoli doppiato da Roberto Formigoni che la colpa della sconfitta sia del candidato? O questa logica non risponde invece a una specie di cannibalismo politico che porta a sgombrare automaticamente il campo da possibili concorrenti per spianare la strada ad altri candidati di belle speranze, pubblicamente schisci ma già in cuor loro scalpitanti?
Domanda numero tre, che è il corollario della precedente: davvero la democrazia italiana deve essere anomala anche su questo piano, tale cioè da impedire quel che in altri sistemi è assolutamente fisiologico? Perché Brandt, Mitterrand, Allende o Lula si ricandidano ai più alti livelli dopo una sconfitta, e vincono, e magari diventano statisti, mentre da noi la parola d’ordine è che chi perde esce di scena? E’ poi la stessa cosa perdere prendendo meno voti dei partiti sostenitori o perdere prendendone di più?
Da qui l’eretico auspicio. Che il candidato del centro-sinistra, qualora non vinca (e non è detto), sia visto e vissuto in ogni caso come investimento da un intero mondo politico e sociale, garanzia di continuità d’immagine, parte essenziale di un processo collettivo. Almeno finché arrivi un oggi invisibile Nembo Kid.
Finito con gli eretici auspici? Nossignori.
Ne avrei un altro mezzo, stavolta sindacale. Ho ammirato il recente ennesimo sciopero dei trasporti promosso a Milano da una sigla Cobas. Chi non è pratico di mezzi pubblici forse non sa che a Milano – e non solo – da almeno un decennio il calendario prevede lo sciopero dei trasporti al venerdì, in genere un venerdì al mese. Qualcosa di simile al “sabato trippa”. Sempre con forti e nobili motivazioni, ed è per questo che lo sciopero viene attaccato ai giorni del week end.
Venerdì scorso è stata l’apoteosi. Sciopero proclamato per il giorno della memoria, che prevede convegni, mostre e scolaresche in movimento, e, come non bastasse, nel giorno di sciopero dei benzinai. Il mezzo auspicio è dunque che il venerdì ritorni un giorno come gli altri. Intanto complimenti.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 31/01/2023
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