Il connubio mafia-massoneria
È da tempo immemorabile che il tema della infiltrazione della mafia (cosa nostra e la ‘ndrangheta) nella massoneria è stata oggetto di procedimenti penali e di relazioni delle commissioni parlamentari antimafia succedutesi nel tempo.
È stato, però, solo cinque anni fa con la Commissione presieduta da Rosy Bindi, che si è voluto comprendere quali fossero i meccanismi che hanno consentito o facilitato l’infiltrazione mafiosa nella massoneria, indicando i possibili rimedi, anche legislativi, per arginare il fenomeno. Sul punto la “Relazione sulle infiltrazioni di cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria- Doc. XXIII, n.33”, approvata all’unanimità nella seduta del 21 dicembre 2017.
Alcuni particolari che stanno emergendo nelle indagini collegate alla recente cattura di Matteo Messina Denaro come l’annotazione del numero di cellulare dell’ex responsabile della loggia Ferrer di Castelvetrano (città di origine di Messina Denaro) tra i “pizzini” dell’autista del capomafia arrestato dopo una trentennale latitanza, riaccendono l’interesse sulle logge massoniche ufficiali che pure sono tutelate dalla nostra Costituzione quali forme libere di associazioni.
La relazione sopra indicata ha fatto emergere come la mafia abbia sempre nutrito e coltivato un forte interesse nei confronti della massoneria che dal suo canto ha registrato “una sorta di tolleranza – frutto di un generalizzato negazionismo dell’infiltrazione mafiosa, magari volto a salvaguardare il prestigio internazionale dell’associazione massonica o le sue fondamentali regole di segretezza..”.
Va anche detto che se il nostro ordinamento giuridico ha gli strumenti per prevenire e reprimere “patti” e “deviazioni” intercorsi con la mafia, non ha i mezzi nel caso di tolleranza cioè in assenza di fatti penalmente rilevanti da lato della massoneria ufficiale che, nonostante, l’allarme nel tempo di giuristi, inquirenti, storici, non ha mai assunto, per la mancanza di volontà, misure ferme che la rendessero impermeabile agli interessi criminali.
Una tolleranza evidenziata anche nella “ostinazione della massoneria a mantenere (..) quelle caratteristiche strutturali e organizzative del tutto similari a quelle della mafia che (..) si pongono quali fonti di alimentazione per la creazione, in ambito massonico, di un humus particolarmente fertile per la coltivazione degli interessi mafiosi”.
E sul punto va ricordato l’obbligo di segretezza in ordine a determinati rapporti e prassi, di solidarietà e di fratellanza tra i massoni, la concezione della legge e della giustizia massoniche ritenute ordinamento separato da quello dello Stato (la cui giustizia “profana” è rifiutata) e prevalente rispetto a quest’ultimo.
I vincoli di obbedienza gerarchica inducono al silenzio anche sulle infiltrazioni della mafia “perché, altrimenti, come è accaduto, si offende implicitamente la dirigenza massonica, che tutto vede e tutto fa, di non aver visto e di non aver fatto nulla”.
È il segreto a ben vedere che consente “fisiologicamente” l’incontro mafia-massoneria, un sistema in cui l’interesse criminale si rivolge a entità associative del tutto lecite che, tuttavia, consentono o facilitano, magari anche inconsapevolmente, la propria strumentalizzazione.
Un altro dato su cui riflettere è dato dall’elevato numero, in continuo aumento, degli iscritti alle logge massoniche siciliane e calabresi, in parte, forse, attribuibile al fatto che centinaia di persone, specie nel Sud, cerchino all’interno della massoneria risposte alla grave e perdurante crisi economica.
Si torna, alla fine della questione, finora rinviata o ignorata, sulla esigenza di uno stringente controllo istituzionale e normativo di quelle “zone grigie” per evitare che, proprio perché dissimulate dal legalità, si trasformino in zone franche vanificando alcuni sforzi compiuti negli ultimi anni di “bonifica” dei salotti della “borghesia mafiosa”.
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