Chi nega la mafia è come chi nel ’600 negò la peste
La “provocazione un po’ aggressiva” è la cifra stilistica di Alessandro Barbano. Lo è per sua stessa ammissione, quando – per spiegare la guerriglia fra ultras di Roma e Napoli – si chiede “quanti di questi signori godono del reddito di cittadinanza” (frase che Marco Travaglio, nell’editoriale del 10 gennaio, ha commentato con giusto sarcasmo).
Lo è, ancor più e fin dal titolo (“L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene”), in un libro edito da Marsilio. La tesi, sviluppata in 249 pagine di irriducibile indignazione, ridotta all’osso è questa: contro la mafia si è fatto ricorso al “diritto dei cattivi”, deragliando dai binari dello stato di diritto e della Costituzione; un’anomalia che deve essere cancellata ora che l’emergenza della mafia stragista è stata sconfitta; ma lo impedisce l’Antimafia, un “sistema burocratico, giudiziario, politico e affaristico cresciuto a dismisura e fuori da ogni controllo di legalità e di merito”.
Vien subito da dire che se di sistema si vuol parlare lo si deve fare per la mafia, che non è solo “Cosa nostra stragista” e non va percepita come un problema esclusivamente di ordine pubblico, cogliendone la pericolosità solo quando mette in atto strategie sanguinarie. Così si dimentica la straordinaria capacità di condizionamento (anche, se non più, nelle fasi di “convivenza”) che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere. Basti pensare alle protezioni e complicità dei “salotti buoni” del potere che hanno garantito a Matteo Messina Denaro trent’anni di serena latitanza.
A pag. 249, il Barbano parla del processo Andreotti dimenticando ciò che mi ostino da sempre a ricordare e che tutti possono verificare: nel dispositivo della sentenza d’appello, confermata in Cassazione, sta scritto ben chiaro che il reato addebitato all’allora senatore a vita ed ex (sette volte) presidente del Consiglio risulta “commesso” (sic) fino al 1980, ma prescritto.
Quanto ai singoli temi evocati dall’Autore, è praticamente impossibile in questa sede affrontarli adeguatamente come meriterebbero.
Conta di più che non mi sono mai accorto – lo confesso! – dell’abisso descritto da Barbano in cui il nostro povero paese è precipitato. In altre parole, non ho avvertito che il cosiddetto “doppio binario” (perché di questo in sostanza si tratta) fosse sbagliato anzi pericoloso e deleterio per la democrazia.
Credevo che fosse un metodo adottato fin dai tempi di Falcone e Borsellino per contrastare il carro-armato mafioso non con una cerbottana ma con norme e mezzi adeguati, in quanto calibrati sulla realtà concreta della mafia, che è diversa da ogni altro fenomeno criminale. Diversità che rende il metodo rispondente a criteri di ragionevolezza, ed è su questa base che a mio avviso va posto il problema di eventuali violazioni della Costituzione.
Ora, prima di vergognarmi di essere uno dell’Antimafia e di autoescludermi dal consorzio civile, provo ad esporre il mio punto di vista.
La Costituzione, si dice, o è uguale per tutti (mafiosi compresi) o non è. Argomento suggestivo. Però attenzione.
L’art. 49 stabilisce che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti”. Ma a questo principio è la stessa Carta (art. XII disposizioni transitorie e finali) che deroga, vietando “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Ora io non sono un costituzionalista e ho tutto da imparare, ma mi sembra chiaro che la Costituzione vuole che ai nemici della democrazia sia dedicata un’attenzione particolare.
Qual è il rapporto dei mafiosi con la democrazia? Il mafioso è vissuto e vive per praticare un metodo di intimidazione, assoggettamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese. In questo modo il mafioso crea tutta una serie di ostacoli di ordine economico e sociale che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana. In altre parole, il mafioso è la negazione assoluta e al tempo stesso un nemico esiziale dell’articolo 3 su cui si fonda la Costituzione.
Allora, si può dire che con la pratica sistematica dell’intimidazione e dell’assoggettamento (art. 416 bis) i mafiosi calpestano tutti i valori della Costituzione? E che difendere questi valori col ”doppio binario” non significa essere giustizialisti, manettari o forcaioli; ma – semplicemente – prendere atto della specificità della mafia?
Io penso di sì, anche per non finire come il don Ferrante di Manzoni, che negava la peste, mentre invece…
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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