Pippo Fava e le sue inchieste sulla vischiosità del potere
Ricordate il libro e l’omonimo film “La sottile linea rossa”?
Ecco mi sono immaginato così, ripercorrendo la trama di quel racconto scritto da James Jones, la storia di tanti uomini coraggiosi di questa terra, detti coraggiosi perché sono stati capaci a resistere al richiamo dell’ammaliante ambiente, colluso, che li ha circondati.
Non sono rimasti a farsi cullare dalle indifferenze, hanno regalato la loro vita, come beneficio per questa terra. Ma chi è rimasto non sempre è stato capace a coltivare bene la memoria.
Ognuno di queste vittime delle mafie, ha avuto davanti una sottile linea rossa, l’averla superata o l’essere prossimi a superarla, ha scatenato la rappresaglia.
Non sono scenari del tutto scomparsi. Questa è una terra che resta lussureggiante e ammaliante, ma nasconde le collusioni. La mafia non spara più ma per chi supera la linea rossa ci sono altri metodi.
Trentanove anni dopo torniamo a ricordare Pippo Fava e quelle sue inchieste giornalistiche sulla vischiosità del potere.
Rendendoci conto che quello scenario non è cambiato. Pippo Fava e tanti altri come lui non ci sono più, ma la scena è la stessa, nonostante il salto di secolo che frattanto si è fatto. Restano attuali e quindi non smentite quelle ultime parole di Fava, quando indicava la presenza della testa mafiosa a Roma, dentro al Parlamento, come già aveva fatto molti decenni prima un sacerdote che si chiamava don Luigi Sturzo.
Le mafie non sparano più e qualcuno pensa che bastano due righe di un articolo di legge, una circolare ministeriale o una direttiva, per fermare le penne dei giornalisti.
Ed eccoci oggi qui per il nostro esame di coscienza laico, se come giornalisti abbiamo sin qui adempiuto a quell’insegnamento lasciatoci da Pippo Fava. Non un insegnamento qualsiasi, una lezione quella sua per la quale egli ha rimesso la propria vita, privato ai suoi familiari, ai figli, alla sua città, alla terra di Sicilia, al Giornalismo vero, quello con la “G” maiuscola e la schiena dritta.
Pippo Fava ammazzato dalla mafia 39 anni addietro per quel concetto etico del giornalismo che era la base delle sue cronache e che ci ha lasciato come lezione da imparare ed esercitare ogni giorno: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.
Questo nostro è un Paese che per difendere una Democrazia non sana ha stretto patti criminali. Non una ma dieci, cento, mille trattative, per pensarci di farci stare in una terra libera e democratica, e invece aprendo bene gli occhi ci accorgiamo che non è così.
Non viviamo in una società davvero libera e democratica, non solo per colpa di inquinatori di pozzi, di specialisti nei depistaggi, per colpa delle mafie e dei poteri occulti e forti, ma perché non tutti i giornalisti hanno deciso di fare propria la lezione di Pippo Fava.
Ecco perché serve un vero esame di coscienza da parte della nostra categoria. Più severi e meno servi.
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