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Pensieri di Natale pensando a Giuda, Giovanni Battista e Gesù

Pierluigi Ermini il . Chiesa, Cultura, Diritti, Religione, Società

In queste settimane, grazie alla lettura di un libro di Amos Oz dal titolo “Gesù e Giuda” e alla lettura di alcuni articoli su Avvenire dedicati alla figura di Giovanni il Battista ho avuto modo di pensare a questi due uomini così importanti e così diversi tra di loro, tutti e due profondamente legati a Gesù.

Possiamo dire che sia Giuda che Giovanni Battista amavano Gesù ed entrambi erano amati da lui.

E come lui terminano così giovani la loro vita, in modo comunque violento.

L’umanità di Giuda mi ha sempre affascinato, perché per me racchiude i dubbi, le speranze che una figura come Gesù suscita in tutti coloro che sono animati dalla ricerca di Dio.

Come non ricordare l’inizio del film Jesus Christ Superstar con Giuda che parla dei suoi dubbi cantando su una collina mentre Gesù passa sotto di lui: “… tutto il bene che hai fatto sarà presto cancellato. Hai iniziato ad essere più importante delle cose che dici…”

Anche in Jesus Christ Superstar appare chiaro l’amore che Giuda prova per Gesù.

La tradizione ebraica dà una luce diversa a questo uomo, che fin dall’inizio è stato uno dei primi a seguire Gesù.

Amos Oz al riguardo ha scritto un libro bellissimo proprio dal titolo “Giuda e Gesù”, che prende spunto per le sue riflessioni dal pensiero di uno zio, professore e fondatore dell’Università Ebraica a Gerusalemme.

Lo zio Joseph di Gesù dice che era un uomo profondamente ebreo, ma un uomo indipendente che voleva purificare l’ebraismo. Ci sono frasi bellissime su Gesù in questo libro. Dice lo zio a Amos: “quando vedi un crocifisso, guardalo negli occhi e ricordati che Gesù era proprio uno di noi, uno dei nostri grandi maestri, uno dei nostri moralisti, uno dei nostri supremi visionari”.

Joseph era un uomo profondamente innamorato di Gesù, studiava di notte i vangeli (che non sono letti nell’ebraismo), anche se cozzavano contro alcune sue convinzioni come l’amore universale, così lontano per Joseph dalla natura umana.

Giunto però alle lettura del tradimento di Giuda, dei trenta denari, e del bacio, il suo rispetto per il Vangelo si ferma. Tutto ciò gli appare incomprensibile.

Giuda non era una persona povera, era un proprietario terriero in Giudea.

Non aveva bisogno di soldi.

Il bacio per far riconoscere chi è Gesù dai soldati romani non ha nessuna logica nella mentalità ebraica, perché Gesù era entrato a Gerusalemme pochi giorni prima, riconosciuto da tutti, addirittura osannato.

C’è poi un altro bellissimo libro sempre scritto da Amos Oz dal titolo “Giuda”, un romanzo dove lo scrittore immagina un suo protagonista, Shemuel Asch, come uno studioso di religioni comparate, che dà una verità su Giuda alternativa a quella cristiana.

Shemuel Asch prende spunto da una vecchia teoria ebraica per la quale Giuda amava moltissimo Gesù e credeva fermamente che il Regno di Dio si sarebbe realizzato subito dopo la morte del Salvatore.

Per questo è artefice della sua morte in croce, con la convinzione, dopo aver visto quest’uomo fare miracoli, guarigioni, che proprio la sua crocifissione avrebbe portato all’avvento di un nuovo regno, quello definitivo dell’amore di Dio.

Il vedere che nel momento della sua morte Gesù vive fino in fondo la sua umanità (“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”), spinge Giuda a considerare che tutto è fallito.

Ai suoi occhi Dio ha abbandonato Gesù e lui si rende conto che ha contribuito ad uccidere la persona che più amava. Ha ucciso quella che era la sua luce e la sua speranza.

Ciò lo porterà al suicidio.

Così Giuda che per noi cristiani è il traditore, per Shemuel Asch è invece un rivoluzionario e da ebreo crede che il nuovo regno avvenga su questa terra, a Gerusalemme, come tutti gli ebrei credono fermamente .

Basta pensare alla tradizione della Porta d’Oro di Gerusalemme.

Secondo la tradizione ebraica, quando il tempio fu distrutto, la presenza divina, la nube santa (Shekhinah), che dimorava nella parte più santa del tempio di Gerusalemme, se ne andò attraverso la Porta d’Oro e proprio da lì rientrerà quando il tempio sarà riedificato.

Se con Giuda si ha l’idea di un Regno che doveva iniziare subito dopo la crocifissione di Gesù, con Giovanni il Battista il disegno di Dio appare più come una chiamata personale che arriva a ciascuna persona.

Uno stile di vita che investe tutti, una conversione personale che parte dal distacco dalle cose terrene per dare valore ad altro.

La lotta tra il bene e il male è prima di tutto dentro di noi e il deserto rappresenta la lotta interiore che nasce dentro ciascuno di noi.

Non c’è un cambiamento del mondo che non parta dall’anima e che deve spingere all’amore.

In questo senso Giovanni Battista ha “preparato la strada al Signore”, perché con Gesù si apre un rapporto più personale e individuale tra l’essere umano e Dio.

Giovanni ci insegna il cammino dell’essenzialità, di ciò che conta, attraverso un percorso di spogliazione, come lui ha fatto nella sua vita nel deserto mangiando erbe e locuste e vestito di pelle di cammello.

Uomo di poche parole, lui è voce di un Dio che si fa annunciare non dai ricchi, dai sacerdoti, ma da chi sa vivere la misericordia e il perdono.

Giovanni, diversamente da Giuda ci insegna che un pizzico di divinità abita già in noi e che lo possiamo riconoscere e accogliere se c’è questo percorso di distacco da ciò che non conta.

Gesù amerà entrambi, accoglierà il loro amore e con loro farà un pezzo di strada.

Chissà perché a Natale, invece di pensare alla bellezza di un bambino che nasce in una grotta, mi viene di pensare a Giuda e Giovanni.

Forse perché entrambi abitano e sono parte di noi.

Vorremmo che questo Regno di Dio fosse già qui ora su questa terra come Giuda sperava avvenisse con la morte di Gesù e al tempo stesso siamo coscienti che senza una conversione personale, a cui ci spinge Giovanni Battista, non può iniziare nemmeno il nostro personale viaggio verso questo Regno.

Giuda, Giovanni Battista e Gesù sono legati da un filo indissolubile dove umanità, spiritualità, speranza, fede, ma anche morte e vita sono parte di noi, si intrecciano lungo la nostra personale esperienza, in un qualcosa che già esiste ma non è compiuto e dove ogni nostro passo ha un valore e un senso nell’avvicinare o allontanare quello che i credenti chiamano il Regno di Dio.

E’ quel “già qui e non ancora” che sintetizza così bene il pensiero delle lettere di San Paolo su cui si basa la teologia biblica, ma che soprattutto ci deve spingere a far agire Dio dentro di noi, perché non si arresti mai il nostro personale cammino verso di Lui.

Buon Natale a tutti!

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