Il ministro della Giustizia Nordio è una specie di nuovo “Marchese del grillo”
Sotto la dittatura fascista, sciolta d’imperio l’Associazione magistrati, la corporazione – nonostante alcune nobili eccezioni – si conformò al regime fino a una sostanziale sudditanza.
Tant’è che, a differenza degli altri pubblici funzionari, ai magistrati non venne chiesto alcun giuramento di fedeltà, almeno fino all’avvento della Repubblica di Salò.
Per escludere la possibilità che ciò potesse ripetersi, la Costituzione (nella sua essenza di democrazia pluralista contrapposta all’onnipotenza della politica) si è conformata al principio cardine delle democrazie moderne: la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, strutturando un sistema su cui si innestano i principi – altrettanto fondamentali dell’indipendenza della magistratura e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Oggi il ministro Carlo Nordio vuole una riforma che di fatto comporta l’arretramento del nostro sistema ad una fase pre-costituzionale (non oso dire fascista per non essere costretto a subire la iattanza arrogante di chi considera l’ipotesi di un possibile ritorno di qualche tratto del Ventennio una cialtroneria da commiserare).
Punti cardine del programma del neo ministro sono infatti la separazione delle carriere fra pm e giudici e lo stop alla obbligatorietà dell’azione penale. In un caso e nell’altro la magistratura di fatto cesserebbe di essere indipendente e sarebbe sottoposta al volere della maggioranza politica del momento (non importa di che colore).
Perché ovunque al mondo vi sia una qualche declinazione della separazione, le forze politiche contingentemente al potere possono – per legge – impartire al giudiziario, tramite l’esecutivo, ordini o direttive da ottemperare. E perché se l’azione penale non è obbligatoria dovrà per forza esserci qualcuno incaricato di indicare i reati perseguibili e quelli no, e non potranno che essere le forze politiche che in quel momento comandano.
Risultato? Il principio della separazione dei poteri e – appunto – della indipendenza della magistratura saranno fatti a pezzi; con l’ulteriore devastante effetto di azzerare, sostanzialmente, l’uguaglianza di tutti i cittadini si fronte alla legge. Tabula rasa di tutto ciò che è necessario per puntare ad una democrazia “emancipante”, inverando l’art. 3 capoverso della Carta (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza).
Giovanni Maria Flick (intervistato da Liana Milella l’8.12.22) sostiene che in Nordio traspare una rivalsa contro gli ex colleghi. Può darsi. In ogni caso sono con Nordio personaggi che la magistratura la vedono come il fumo negli occhi. Primo fra tutti Silvio Berlusconi. In una intervista al Corriere della Sera del 21.12, a domanda “che cosa si aspetta da questo governo”, risponde “molte cose (tra cui) una riforma della giustizia ispirata a principi garantisti sulla strada indicata dal ministro Nordio”.
E poi Luca Palamara. Dichiara che le parole di Nordio sono “un messaggio di speranza per chi vuole battersi per una giustizia giusta”. Si parla di intercettazioni, quelle che hanno rivelato un sistema inquinato e inquinante di cui Palamara era fulcro, e per il quale è stato radiato dalla magistratura.
Ma Nordio non ha bisogno né di Berlusconi né di Palamara né di altri laudatores. Predilige il self service. Ostenta granitiche e altezzose certezze: tutto ciò che serve è già stampato nei suoi articoli di giornale, per cui poche ciance.
E prima ancora che si avvii un confronto vero, su proposte formalizzate e non solo genericamente annunziate, si dice pronto a dimettersi se qualcosa non andasse per il verso giusto (il suo). Una specie di “Marchese del grillo” autosufficiente.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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