Ithaka, un film sulla vita, per la vita di Julian Assange
Lo scorso martedì 13 dicembre, nell’ambito della sesta edizione del TEHR (thematic exhibition on human rights), al Nuovo Cinema Aquila di Roma è stato proiettato, in prima nazionale, il film documentario ITHAKA, di Benjamin Lawrence, prodotto da Gabriel Shipton, fratello di Julian Assange.
Il film racconta la battaglia della famiglia, e in particolare del padre, di Julian Assange per difenderlo, per liberarlo e per scongiurare l’estradizione verso gli Stati Uniti, dove verrebbe con ogni probabilità condannato ed incarcerato per sempre nel penitenziario più duro degli Stati Uniti, unanimemente considerato una sepoltura in vita. Per gli oltre 200 partecipanti presenti (nonché per i moltissimi rimasti fuori, per i quali si è reso necessario programmare una seconda proiezione) non vi erano informazioni aggiuntive o nulla di nuovo che non sapessero, ma è stato sicuramente un pugno nello stomaco, anche per i più interni alla vicenda.
Dopo oltre 10 anni di ingiustizie e di privazione della libertà ai danni di Julian Assange, sorge in effetti una comprensibile assuefazione che ci fa dimenticare non solo la portata della aberrazione giuridica nei suoi confronti, ma anche il logoramento psicologico. Si tratta di un’anomala detenzione che, ricordiamo, sin dai primi passi dell’indagine per minor rape condotta in Svezia, è stata un susseguirsi di scorrettezze giuridiche e di infamie architettate ad arte, che i media mainstream raramente hanno riportato nella loro reale brutalità.
Come ricorda l’ex relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura, lo svizzero Nils Melzer, le torture, fisiche o psicologiche, sono tutte volte ad annientare e distruggere una persona umana. Ragione per cui, quand’anche Assange uscisse domani da Belmarsh, il carcere di massima sicurezza londinese dove è rinchiuso da oltre 3 anni in una cella di 2x3m, in totale isolamento, egli non sarà mai più l’uomo che era prima e l’obiettivo di annichilirlo sarà stato in ogni caso raggiunto.
Il film ritrae momenti di intimità della famiglia mentre lotta per la sua liberazione: l’anziano padre che vola in tutto il mondo per perorare la sua causa, ma anche la moglie, l’avvocata Stella Moris, che cerca telefonicamente di creare un contatto tra il padre dei suoi figli e i bambini che – ricordiamo- non lo hanno mai visto libero. Stringe il cuore guardare una piccola donna, per quanto determinata, lottare per la liberazione del marito, rispondere nelle numerose interviste a domande tendenziose e, al contempo, cercare di creare una normalità per i suoi figli.
I colleghi giornalisti di Assange, nel voltarsi spesso dall’altra parte, forse non sono al corrente di tutto ciò e magari la vicenda umana interessa loro relativamente, ma sono sicuramente consapevoli che la vicenda di Assange è volta ad intimidire tutti loro e chiunque si azzardi a denunciare l’ipocrisia del potere, più che mai utile ad esso in un momento di “normalizzazione” della guerra e di assuefazione al bollettino quotidiano di morti di civili innocenti.
È un film che va visto e diffuso ove possibile. Più che mai, in questa “emergenza di umanità”, è necessario ricordare, soprattutto ai più giovani, che la storia non si cambia con il conformismo, bensì grazie a protagonisti coraggiosi come Julian Assange, che sta pagando con la vita coerenza e generosità.
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