Francesco esorta a capire le lezioni del Covid per superare questo tempo di guerre
La Sala Stampa della Santa Sede ha divulgato il testo del messaggio di papa Francesco per la 56esima giornata mondiale della pace, il prossimo primo gennaio 2023.
È un testo che vale la pena di leggere con attenzione perché presenta alcune considerazioni non scontate sulla pace.
A cominciare dal fatto che parte dal Covid, quasi rimosso dal nostro confronto attuale, per ricordare quanto ci abbia riguardato, con sfide improvvise e impreviste che il mondo sanitario ha fronteggiato per lenire il dolore e la politica adottando misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.
Il Covid “ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.
Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità”.
Dopo tre anni è urgente però non dimenticare, rimuovere, ma domandarsi cosa abbiamo capito grazie a questa crisi, dalla quale, come da tutte le crisi, non si esce mai uguali a prima, ma migliori o peggiori.
La prima lezione per Francesco è che abbiamo bisogno degli altri, nessuno si salva da solo. Su questo Francesco, il papa della fratellanza, insiste dai primi giorni della pandemia, lo ripete anche oggi, ma questo non può bastare, Francesco avverte il bisogno di andare avanti nella comprensione di quanto è emerso da questa esperienza: “Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre”.
E così si arriva al capito sulla guerra in Ucraina, che “miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante”.
La guerra, in Ucraina come in tanti altri teatri del mondo, è una sfida globale. Ma se per il Covid si è trovato il vaccino, per la guerra non lo si trova: “Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato”.
L’esperienza del Covid dunque può servirci per affrontare questa nuova sfida, cambiando paradigma: “Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune”.
Le mille crisi, diverse e di diversa natura, morali o sociali o politiche o economiche, sono in realtà tutte interconnesse e quindi occorre un nuovo sguardo capace di unirle: “Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società”.
Fonte: Articolo 21
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