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Chiediamo verità e giustizia per Mario Paciolla

Geppino Fiorenza * il . Corruzione, Guerre, Informazione, Internazionale, L'analisi, Memoria

Se fossimo stati in Colombia forse avremmo saputo che anche Giancarlo Siani, quel 23 settembre del 1985, si era suicidato perché bisticciato con la fidanzata.

C’è voluta tutta la determinazione di Paolo Siani e famiglia, amici, direttori del Mattino, da Zavoli a Graldi, Orfeo ed ai loro successori fino ad oggi, con Monga prima e De Core, ora, che ne tengono viva la memoria…ai segugi giornalisti, in quel tempo, ogni giorno nei processi, come Pietro Perone e Gianpaolo Longo, con tutte le loro colleghe ed i loro colleghi; magistrati come Armando D’Alterio e validi poliziotti per arrivare alla verità dopo ben 12 anni.

Le cose per il nostro Mario Paciolla non stanno bene!

Ho conosciuto, grazie a Bruno Vallefuoco, i suoi meravigliosi genitori al Centro Ciro Colonna di Ponticelli, dove abbiamo la nostra “CuciNapoliEst”, nella struttura affidata a Maestri di Strada, in occasione dell’assemblea regionale di Libera, di cui ho avuto l’onore di essere dal 1995 referente regionale campano con Renato Natale prima e Don Tonino Palmese poi, prima di passare le consegne ai valenti Fabio Giuliani e Mariano Di Palma, oggi.

Ho riannodato un vecchio rapporto con il mio compagno di classe, Francesco Gianfrotta, poi Magistrato, Presidente di Tribunale, Gip, che ha lavorato al DAP con altro grande amico, Giancarlo Caselli. Anche il privato è importante ed ha un suo valore emblematico: la mamma di Mario era stata fisioterapista di quella di Francesco, a Napoli.

Mi sono consultato con lui, che ha scritto un bell’ intervento corposo, da Rivista, per “La Rocca” della “Pro Civitate Christiana” dei frati francescani di Assisi ed un pezzo importante sul Mattino di Napoli, del 13 dicembre, con rilievo in prima di cronaca, a cui essere grati per quella che deve essere ancora una forte battaglia di civiltà umana e giuridica, tutta da svolgere con la massima condivisione. Ho letto, oltre ad altri, i carissimi Luigi Manconi sulla Stampa e Davide Mattiello sul Fatto Quotidiano.

La tesi di Gianfrotta è ineccepibile…

La morte violenta di una persona, se non è esito di suicidio, è conseguenza di un omicidio. E’ principio generale da applicare correttamente nel procedimento per la morte di Mario Paciolla, cooperante il cui corpo fu trovato privo di vita il 15 luglio 2020 nella sua casa di San Vicente di Caguan (Colombia), con molti segni univoci di un decesso avvenuto non per cause naturali.

Ricorda che “Nel 2018 iniziava la sua collaborazione con l’ONU. Su di essa egli “in casa manteneva il più assoluto riserbo”. E’ possibile che Paciolla sia venuto in possesso di informazioni delicate, specie dopo un intervento militare in un campo di dissidenti Farc, cui era seguita la morte, tra gli altri, di sette minorenni e le dimissioni del ministro della difesa che aveva omesso di riferire il particolare. Le indagini sulle cause della morte di Paciolla si sono rivelate approssimative e non hanno potuto contare sulla collaborazione dell’ONU. La scena del fatto alterata prima dell’intervento degli organi investigativi; cancellate molte tracce; reperti importanti trasferiti nella sede della Missione ONU”.

Si sa intanto che i familiari, assistiti da valentissimi avvocati, hanno sporto denuncia contro funzionari ONU, responsabili della Missione.

Continua Gianfrotta: “Almeno da novembre 2019 Paciolla era preoccupato e temeva per la propria sicurezza. Nel gennaio 2020 chiese invano  un trasferimento. Rimasto in Colombia, nel luglio pensava concretamente a rientrare in Italia e a far cessare anticipatamente e subito la sua collaborazione con l’ONU.”

Quindi – precisa Gianfrotta – “Stando alla versione ufficiale, Paciolla si sarebbe prima autoinflitto dei tagli all’altezza dei tendini dei polsi e poi si sarebbe avvolto un lenzuolo intorno al collo per quattro volte. Questa ricostruzione non spiegherebbe né la profondità del solco, troppo ampia per essere causata da un lenzuolo, né la quantità di sangue trovata in casa di Mario, eccessiva in rapporto ai tagli presenti sui polsi. Elementi che si leggono anche nella seconda autopsia, svoltasi in Italia per ordine della Procura di Roma.”

Ed allora “Al termine delle indagini, la procura della Repubblica di Roma ha richiesto al giudice per le indagini preliminari di archiviare il procedimento, non essendovi prova certa (questo parrebbe il fulcro della motivazione) che Paciolla sia stato vittima di omicidio. I familiari del giovane si sono opposti all’accoglimento della richiesta del pm e il gip dovrà pronunciarsi in merito. Ciò che non convince è il punto di vista dell’ufficio inquirente. Le due ipotesi in astratto formulabili (suicidio ed omicidio) vengono, infatti, poste sullo stesso piano. Ma è proprio l’esito delle indagini a far ritenere inaccoglibile la richiesta, che risulta in contrasto insuperabile con circostanze provate.

E precisa documentatamente: “Nella tarda serata del 14 luglio 2020 Paciolla inviò più  messaggi alla madre. L’ultimo arrivò alle ore 0,30 italiane. Il giovane tranquillizzava la madre, scrivendo: “biglietto comprato”. Alle successive ore 6,20 italiane la madre gli mandò un messaggio, rimasto non spuntato. A quell’ora, verosimilmente, Paciolla era già morto, anche se la notizia giunse ai familiari verso le 18,30 del 15 luglio. Non è, in alcun modo, pensabile che, nel giro di poche ore, la situazione psichica di Paciolla si sia a tal punto deteriorata da indurlo al suicidio. Vi sono perciò solidi elementi di fatto che inducono a ritenere non più in campo l’ipotesi del suicidio. Non resta che l’omicidio quale causa della morte violenta di Paciolla, per di più coerente con gli altri elementi di contesto emersi (la cancellazione delle tracce  sulla scena del fatto).”

E conclude, l’attempato come me, ma testardo e puntuale magistrato, “L’eventuale provvedimento del Gip che, respingendo  la richiesta di archiviazione, ordinasse al pm di procedere per l’omicidio del giovane, potrebbe indurre il Governo italiano a compiere passi importanti nei confronti dell’ONU per averne una collaborazione maggiore di quanto fin qui avvenuto. Verità e giustizia sulla morte di un cittadino italiano all’estero sarebbero, mai come in questo caso, dovute: alla memoria di Mario, giovane rimasto vittima dei suoi ideali,  ai suoi familiari e al nostro paese.”

Ed io mi permetto di aggiungere: “Diamo verità e giustizia a Mario Paciolla, come siamo riusciti a fare per Giancarlo Siani ed aspettiamo anche di fare per Giulio Regeni”, stringendoci con affetto a tutti i loro ammirabili e combattivi genitori.

Presidente di AsCenDeR e presidente onorario della Fondazione Giancarlo Siani Onlus

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