Contante ed economia sommersa: una “relazione pericolosa”
Mentre nelle economie più avanzate l’uso del contante si sta riducendo fisiologicamente, anche in assenza di tetti e divieti, il nuovo Governo, abbandonando la linea restrittiva dei suoi immediati predecessori, si dichiara pronto a innalzare di nuovo e sensibilmente – a 5000 euro – il tetto dei trasferimenti in danaro tra persone fisiche e persone giuridiche, scrivendo così un nuovo capitolo dell’interminabile saga iniziata nel lontano 1991.
Anche chi non condivide le tesi radicali che propugnano un pressocché totale abbandono del contante per ragioni di trasparenza, sicurezza e igiene, resta perplesso rispetto all’alto livello del tetto e all’assoluta inconsistenza delle motivazioni addotte per un così brusco innalzamento. La comune esperienza degli acquirenti di beni e servizi e i lavori di studiosi qualificati convergono nel mostrare che ci sono “relazioni pericolose” tra accresciuto livello dei trasferimenti in contante e dimensioni dell’economia sommersa, con il suo corredo di illeciti economici e fiscali.
L’ennesimo intervento legislativo sul contante – che in origine si voleva attuare con decreto legge e che, in ragione dell’evidente assenza dei requisiti per la decretazione d’urgenza, è stato rinviato all’approvazione della legge di bilancio – rischia di essere interpretato come un segnale di indulgenza e un sostanziale “via libera” a forme di microevasione estremamente dannose per le finanze pubbliche, e può, inoltre, concorrere a creare un ambiente maggiormente favorevole al riciclaggio.
Il difficile esordio del nuovo Governo su libertà e diritti. E la politica economica e fiscale?
Sanzioni penali per i raduni pericolosi. Sostanziale giro di vite sull’ergastolo ostativo. Tentativi – maldestri – di chiudere i porti e di bloccare gli sbarchi di migranti tratti in salvo dalle organizzazioni non governative.
Nel giro di qualche settimana l’esordio del Governo di destra ha suscitato vivi e giustificati allarmi sul fronte della tutela delle libertà e dei diritti umani e condotto il Paese sull’orlo dell’isolamento nel contesto europeo.
Comprensibile, dunque, che sulle politiche dei diritti e della giustizia si siano concentrate le critiche – tanto dure quanto argomentate – di autorevoli giuristi, dell’avvocatura, della magistratura.
Una vera e propria levata di scudi, che rappresenta un confortante segno di reattività e di vitalità della cultura giuridica.
Anche se preoccupa che a tale reazione faccia da contrappunto la crescita di consenso per i promotori e i protagonisti di politiche autoritarie o negatrici di diritti umani; con il rischio – esiziale – di una nuova faglia di frattura tra élite e masse popolari.
Analoga attenzione va però riservata alla politica economica e fiscale del nuovo Governo, anch’essa al suo esordio, con il decreto legge n. 176 del 2022 (noto come “decreto aiuti quater”) e con impegnative dichiarazioni di intenti “riformatori”.
Il decreto n. 176/2022 – che si compone di 16 articoli suddivisi in tre capi – contiene misure urgenti in materia di energia elettrica, gas naturale e carburanti [1], disposizioni in materia di mezzi di pagamento, di incentivi per l’efficientamento energetico, nonché per l’accelerazione delle procedure [2] e, nel capo III, le disposizioni finanziarie e finali [3].
Si tratta di un decreto legge molto “composito”, figlio dell’emergenza, che, a un’osservazione più ravvicinata, rivela diverse anime e differenti matrici.
Tra le misure adottate in via d’urgenza, rientrano: l’innalzamento fino a 3000 euro dell’esenzione fiscale dei fringe benefit aziendali; la proroga fino alla fine del 2022 dei crediti d’imposta per le imprese che acquistano energia elettrica e gas; la proroga del taglio delle accise; la possibilità per le aziende di richiedere la rateizzazione delle bollette; la rimodulazione anticipata per il superbonus e la possibilità per i cessionari di ripartire fino a 10 anni i crediti d’imposta maturati dagli interventi di superbonus.
Come è noto, in origine, nella bozza di decreto legge era stato inserito anche l’aumento del tetto del contante a 5000 euro.
Misura con la quale la maggioranza di governo intendeva onorare una delle “cambiali” contratte con i suoi gruppi sociali di riferimento. In attesa di onorarne altre – ad esempio, con i titolari di concessioni balneari e con i tassisti – anche a rischio di entrare, con tali provvedimenti, in rotta di collisione con principi e regole europee sulla concorrenza.
Poiché il decreto prevedeva l’entrata in vigore differita (al 1° gennaio 2023) del nuovo tetto per il contante, l’assenza del requisito dell’urgenza era evidente e dichiarata.
Il riconoscimento della sgrammaticatura istituzionale ha fatto recedere dall’adozione della misura con decreto legge, ma ci si è affrettati a ribadire che il tetto verrà innalzato con la legge di bilancio ed entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023.
Del resto, l’intero decreto rischia di essere lasciato decadere senza essere convertito, poiché, in ragione della sua data di conversione – 17 gennaio 2023 –, i suoi contenuti potrebbero essere interamente trasfusi nella legge di bilancio del 2023.
Sullo sfondo delle misure urgenti del dl n. 176, e del preannunciato intervento sulla soglia del contante, sta la dichiarata intenzione del nuovo Governo di dare attuazione ad alcuni postulati ideologici della destra in campo economico, a lungo sbandierati nel confronto pubblico in ragione della loro forza suggestiva, a prescindere da valutazioni concrete sulla loro utilità, equità e fattibilità.
Come nel caso della revisione del reddito di cittadinanza, misura certamente suscettibile di modifiche per evitare abusi o frodi, che resta però insostituibile sostegno delle fasce più povere e in difficoltà della popolazione.
O della estensione della flat tax per le partite IVA, che renderà accessibile l’aliquota piatta al 15% (ora applicata solamente con il regime fiscale forfettario fino a 65.000 euro) sino al limite di reddito annuo di 85.000 euro, generando un sensibile squilibrio tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti.
Nell’attesa che si definisca compiutamente sotto i nostri occhi la fisionomia della nuova politica economica e fiscale, e che divengano chiare le sue ripercussioni sul giudiziario, vale la pena di mettere sotto la lente d’ingrandimento un atto economicamente rilevante e fortemente simbolico di tale politica: la preannunciata elevazione della soglia del contante per i trasferimenti in danaro tra persone fisiche e persone giuridiche.
L’ennesimo rialzo del tetto del contante
L’intenzione del Governo è di cancellare il limite di 1000 euro, destinato a entrare in vigore dal 1° gennaio 2023, sostituendolo con la nuova soglia di 5000 euro [4].
La brusca virata viene giustificata sia con argomenti già addotti in passato per analoghi mutamenti di rotta, sia con qualche nuova escogitazione.
Una maggiore liberalizzazione dei pagamenti in contanti – si dice – viene incontro alle esigenze dei cittadini meno abbienti o più deboli, meno propensi e meno avvezzi all’uso dei mezzi di pagamento elettronici.
E ancora: il maggior utilizzo di danaro contante dà maggiore impulso ai consumi e all’economia.
Infine, il Presidente del Consiglio ha sostenuto che la scelta di fissare in 5000 euro la soglia dei pagamenti in contanti (ridotta rispetto a quella di 10.000 euro, richiesta da un partito della coalizione di governo [5]) serve ad adeguare il Paese alla media europea e ha bollato come “ideologica” la discussione che sul punto si è sviluppata in Italia, non essendoci alcuna «correlazione tra intensità del limite del contante» e «diffusione dell’economia sommersa».
Ovviamente, affermare che l’innalzamento da 1000 o 2000 a 5000 euro della soglia del contante nelle transazioni economiche serva ad evitare una “penalizzazione dei poveri” è solo un espediente, ove si considerino gli effettivi livelli di reddito dei poveri del Paese; cosicché rappresentarli frequentemente impegnati in transazioni ricomprese nella fascia tra 1000 e 5000 euro e, perciò, agevolati nei loro traffici dalla nuova misura è quasi un insulto alla loro effettiva condizione.
A meno di non far esplicito riferimento alle note e diffuse figure sociali di “poveri” solo agli occhi del fisco, perché evasori totali o sistematici, che dalla nuova misura trarranno incentivo a proseguire sulla strada intrapresa.
Allo stesso modo, non ha molto senso fare riferimento a una fantomatica media europea del contante, dal momento che, in ragione della maggiore o minore disciplina fiscale vigente nei Paesi europei, ciascuno Stato adotta le regole che gli appaiono più opportune.
Nessun limite in Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Ungheria, Irlanda, Estonia, Finlandia, Cipro; 500 euro in Grecia; 1000 euro in Spagna, Francia e Svezia; 2000 in Romania; 2700 in Danimarca; 3300 in Polonia; 3000 in Belgio, Portogallo e Lituania; 5000 in Bulgaria, Slovacchia e Slovenia; 1000 in Repubblica Ceca e Malta; 15 in Croazia.
Discutibili e infondate, per le ragioni che verranno esposte nel prosieguo di questo scritto, appaiono infine le affermazioni del Presidente del Consiglio sul presunto carattere “ideologico” della discussione sul tetto del contante e sull’assenza di prove di una correlazione tra limite del contante ed espansione dell’economia sommersa.
Il più recente capitolo di una lunga saga
In realtà, nel nostro Paese la saga del tetto del contante, iniziata nel lontano 1991, è sempre stata una spia della maggiore, minore o inesistente determinazione dei governi a contrastare in prima battuta l’evasione fiscale e, in seconda istanza, il riciclaggio di danaro di provenienza illecita.
A costo di essere pedanti, va ricordata, sia pure in rapidissima sintesi, la sequenza degli andirivieni delle soglie del contante dall’inizio degli anni novanta ad oggi.
Il primo intervento legislativo diretto a limitare l’uso dei contanti, fissando la soglia di 20 milioni, venne posto in essere nel 1991 dal Governo presieduto da Giulio Andreotti [6].
Nel 2002, con l’ingresso dell’Italia nell’area dell’euro, la soglia fu convertita in euro 10.329,14, per salire a 12.500 euro il 26 dicembre dello stesso anno [7].
Una svolta importante fu segnata dall’adozione della normativa antiriciclaggio.
Il d.lgs n. 231 del 2007 (recante norme di attuazione della direttiva 2005/60/CE, concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché della direttiva 2006/70/CE) abbassò il limite del contante, portandolo alla soglia di 5000 euro.
Da questo momento in poi, le variazioni del tetto del contante diventano più frequenti e ravvicinate.
Dal 25 giugno 2008, con il dl n. 112/2008, convertito nella legge n. 113/2008, si torna al limite dei 12.500 euro, per scendere di nuovo a 5000 a far tempo dal 31 maggio 2010 (art. 20 dl n. 78/2010).
Una nuova stretta all’utilizzo del contante è impressa dalle disposizioni comunitarie miranti a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario per riciclare i proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. Per adeguarsi ad esse, l’art. 2 dl n. 138/2011 stabilisce che le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore fissate dall’art. 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, d.lgs n. 231/2007 sono adeguate all’importo di 2500 euro.
Nel 2011, il Governo Monti abbassa drasticamente il tetto del contante a 1000 euro, stabilendo che, laddove la somma da trasferire superasse le 999,99 euro, il pagamento dovesse avvenire con assegno, bonifico o carta di credito, risultando così tracciato attraverso il sistema bancario o postale [8].
Il Governo Renzi, nel varare la legge di stabilità per l’anno 2016 (l. n. 508/2015), sancisce, al comma 898 dell’art. 1, la modifica dell’art. 49, comma 1, d.lgs n. 231/2007, elevando di nuovo la soglia a 3000 euro.
Infine, l’art. 18 dl 26 ottobre 2019, n. 124 (convertito in legge, con modifiche, dalla l. n. 157/2019), collegato alla legge di bilancio 2020 (l. n. 160/2019) aveva introdotto il limite di 1000 euro all’uso del contante per i pagamenti, limite aumentato, in data 17 febbraio 2022, per tutto il 2022, ad euro 2000,00 (recte: 1999,99) e destinato a essere riportato a 1000 euro dal 1° gennaio 2023.
Le “relazioni pericolose” tra liberalizzazione del contante, economia sommersa e illeciti economici e fiscali
Nel dibattito in corso sulla moneta non mancano, tra gli economisti, i sostenitori di tesi radicali, che non esitano a parlare di una «maledizione del contante» [9] e teorizzano l’opportunità di una sua pressoché integrale sostituzione con la moneta elettronica, adducendo ragioni di trasparenza economica, ma anche di sicurezza, igiene e praticità.
Allo stato, questa impostazione estrema non sembra da condividere.
Un totale superamento della carta valuta in favore di mezzi di pagamenti elettronici avrebbe effetti di esclusione dal circuito economico finanziario, o comunque di forte marginalizzazione, degli appartenenti ai gruppi più deboli della popolazione – gli indigenti, gli anziani, i migranti –, che possono incontrare difficoltà nell’accesso ai nuovi strumenti immateriali di pagamento.
Per altro verso, l’abolizione del contante non garantirebbe l’anonimato di pagamenti pienamente leciti ma soggettivamente imbarazzanti per determinate persone, dando vita a forme di trasparenza e tracciabilità lesive della privacy e potenzialmente oppressive, e rischierebbe di ostacolare le piccole elargizioni effettuate a titolo di liberalità.
Queste ed altre considerazioni di senso comune hanno imposto la ricerca di soluzioni di compromesso tra i vantaggi e gli svantaggi del contante realizzabili grazie alla previsione di “soglie” di modesta entità, fissate in misura utile all’acquisto di beni di consumo o al pagamento di servizi, riservando ai mezzi di pagamento “tracciabili” le operazioni economiche di maggiore rilevanza.
In questa ricerca di “misura” occorre tener conto di dati di comune esperienza e di studi sul campo, dai quali emerge la “relazione” tra livelli di circolazione del contante e dimensione dell’economia sommersa, con il suo corredo di illeciti economici e fiscali.
Soglie ridotte di circolazione delle valute cartacee valgono a ridurre l’area dell’economia sommersa, agevolando la realizzazione delle politiche monetarie del Governo e ponendo un freno alle forme di microevasione capillare che, sommate, raggiungono valori complessivi molto elevati.
Al contrario, maggiori possibilità di ricorrere a pagamenti in contanti favoriscono – grazie all’anonimato dei trasferimenti di danaro – l’espansione dell’area dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale, come è confermato dalla diretta esperienza di acquirenti di beni e servizi.
Non è infatti infrequente che commercianti o artigiani, nel fornire i loro servizi, rappresentino ai clienti l’alternativa tra un pagamento in contanti, scontato perché anonimo e non gravato da tasse, e un pagamento tracciabile ad un prezzo maggiore.
Con l’effetto di dar vita a una convergenza di interessi tra fornitore e cliente a danno dell’amministrazione tributaria, e di alimentare fenomeni di microevasione capaci di ridurre sensibilmente l’entità complessiva delle entrate tributarie.
E poiché i percettori di pagamenti in contanti sono, a loro volta, propensi a effettuare pagamenti in contanti, è plausibile l’ipotesi che il contante sia più utilizzato nelle aree in cui vi è più economia sommersa.
Nonostante questi dati di comune esperienza, non mancano – come si è detto, soprattutto tra i politici – gli scettici che li considerano irrilevanti e scarsamente probanti e continuano a chiedere prove, per così dire, più “scientifiche” delle relazioni tra impiego del contante, crescita dell’economia sommersa ed evasione fiscale.
Una risposta agli irriducibili e ai riottosi di fronte all’evidenza è, di recente, venuta da un saggio intitolato Pecunia Olet. L’uso del contante e l’economia sommersa [10], nel quale gli autori Michele Giammatteo, Stefano Iezzi e Roberta Zizza hanno analizzato il ruolo dell’uso del contante nell’alimentare l’economia sommersa, utilizzando un set di dati che combina, a livello provinciale, le stime ufficiali sulle sottodichiarazioni (under-reporting) delle imprese italiane con i dati sulle transazioni in contanti ricavati dalle segnalazioni antiriciclaggio aggregate presentate all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) dalle banche.
Il risultato raggiunto – anche utilizzando un approccio di “differenza nella differenza” [11] che sfrutta la modifica della soglia massima per le transazioni in contanti introdotta nel 2016, fornendo così una misura dell’effetto di tale politica sull’evasione fiscale – è che «un aumento dell’uso del contante si traduce, a parità di altre condizioni, in un livello più elevato di under-reporting (sottodichiarazioni) da parte delle imprese e che l’innalzamento della soglia del contante nel 2016 – una misura motivata dall’obiettivo di stimolare la spesa – ha avuto l’effetto collaterale di portare a una maggiore economia sommersa».
Più precisamente, sostengono gli Autori del saggio – peraltro consapevoli di alcuni limiti del loro studio [12] –, si può ritenere dimostrato che «l’aumento di 1 punto percentuale nell’uso del contante si traduce, a parità di altre condizioni, in un aumento della quota del valore aggiunto ombra tra 0,8 e 1,8 punti percentuali, e che la decisione di aumentare la soglia del contante da 1.000 a 3.000 euro per incentivare la spesa ha avuto l’effetto collaterale di spostare la stessa quota verso l’alto di circa 0,5 punti percentuali».
Con la conseguenza, sempre secondo gli Autori, che «limiti più severi nell’uso del contante sono uno strumento efficace per affrontare l’evasione fiscale».
Se l’esperienza diretta dei cittadini e la riflessione degli esperti convergono nell’avallare questa conclusione, è arduo comprendere come la difficile situazione economica nella quale versa il Paese si concili con l’adozione di una misura “lassista”, che ha l’effetto di favorire gli interessi di specifiche categorie di operatori economici a danno dell’interesse generale, scaricando sulla totalità dei contribuenti il costo di prassi economiche illecite.
Per altro verso, nonostante il riciclaggio di danaro di provenienza illecita sia attuato in forme sofisticate attraverso una pluralità di canali e di azioni economiche, è evidente che il sensibile allentamento delle restrizioni all’uso del contante crea un ambiente più favorevole ai riciclatori, riducendo l’area delle segnalazioni di operazioni sospette e la possibilità di individuare prelievi frazionati di contante sottosoglia finalizzati al pagamento di prestazioni illecite.
Anche sotto questo profilo, dunque, l’elevazione della soglia del contante è tutt’altro che una misura neutra rispetto a realtà che, a parole, ci si propone di contrastare come quelle dell’evasione e del riciclaggio dei proventi di attività illecite.
In definitiva, la scelta di ignorare questi aspetti – peraltro ben noti agli addetti ai lavori – e la ripetizione di formule vuote e generiche in favore dell’incremento dell’uso del contante non sono un segnale positivo sul versante del contrasto dell’evasione fiscale e dei reati economici.
Abbassare la guardia sul fronte della microevasione – all’insegna della benevola considerazione verso i tanti “piccoli” che evadono – non sarà indolore: altri dovranno pagare per le minori entrate generate da questa prima scelta economica della destra al governo.
* Direttore di Questione Giustizia
Note
[1] Capo I: «Art. 1 – Contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a favore delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, per il mese di dicembre 2022»; «Art. 2 – Disposizioni in materia di accisa e di imposta sul valore aggiunto su alcuni carburanti»; «Art. 3 – Misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette»; «Art. 4 – Misure per l’incremento della produzione di gas naturale»; «Art. 5 – Proroghe di termini nel settore del gas naturale»; «Art. 6 – Contributo del Ministero della difesa alla sicurezza energetica nazionale»; «Art. 7 – Disposizione in materia di autotrasporto».
[2] Capo II: «Art. 8 – Misure urgenti in materia di mezzi di pagamento»; «Art. 9 – Modifiche agli incentivi per l’efficientamento energetico»; «Art. 10 – Norme in materia di procedure di affidamento di lavori»; «Art. 11 – Disposizioni concernenti la Commissione tecnica PNRR-PNIEC».
[3] Capo III: «Art. 12 – Esenzioni in materia di imposte»; «Art. 13 – Disposizioni in materia di sport»; «Art. 14 – Misure urgenti per l’anticipo di spese nell’anno corrente»; «Art. 15 – Disposizioni finanziarie»; «Art. 16 – Entrata in vigore».
[4] Questo il quadro normativo sull’uso del contante su cui il Governo si propone di intervenire:
il primo comma dell’art. 49 dPR n. 231/2007 («Limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore») aveva vietato «il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento» era «complessivamente pari o superiore a 3.000 euro» (c.vo aggiunto);
il secondo comma dello stesso articolo aveva poi previsto «Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati e può essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, questi ultimi quando prestano servizi di pagamento diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11»;
ai sensi del comma 3 dell’art. 49, la soglia di 3.000 euro era in vigore anche «per la negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta svolta dai soggetti iscritti nella sezione prevista dall’articolo 17-bis del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141»;
infine il comma 3-bis della norma citata aveva stabilito che «A decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2022, il divieto di cui al comma 1 e la soglia di cui al comma 3 sono riferiti alla cifra di 2.000 euro. A decorrere dal 1° gennaio 2023, il predetto divieto di cui al comma 1 è riferito alla cifra di 1.000 euro» (c.vi aggiunti).
Il legislatore si era dunque orientato ad attuare una significativa riduzione dell’uso del contante nei pagamenti tra persone fisiche e giuridiche, riducendo progressivamente il tetto: da 3000 a 2000 euro fino alla fine dell’anno in corso per giungere poi, dal 1° gennaio 2023, alla soglia di 1000 euro.
[5] Ci si riferisce alla Lega Nord, partito fautore dell’innalzamento della soglia a 10.000 euro. È stato il Senatore della Lega Alberto Bagnai a presentare, a inizio legislatura, una proposta di legge per portare la soglia d’utilizzo del contante a 10.000 euro.
[6] Il dl n. 143/1991 (convertito nella l. n. 197/1991), all’art. 1, fissa il divieto di trasferimento di denaro contante, libretti di deposito bancari o postali e titoli al portatore in valuta straniera o in lire, quando il valore da trasferire superi i 20.000.000 di lire.
[7] Così il dm del 17 ottobre 2002.
[8] Vds. art. 12 dl n. 201/2011, che modifica l’art. 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, d.lgs 21 novembre 2007, n. 231.
[9] K.S. Rogoff, The Curse of Cash: How Large-Denomination Bills Aid Crime and Tax Evasion and Constrain Monetary Policy, Princeton University Press, Princeton (New Jersey), 2017.
[10] Il saggio, pubblicato in lingua inglese nel 2022 sul Journal of Economic Behavior & Organization, vol. 204, pp. 107-127, è consultabile anche negli Occasional Papers della Banca d’Italia.
[11] Nel Rapporto annuale Istat del 2016 (Note metodologiche), la stima difference-in-difference viene definita come «una metodologia utilizzata prevalentemente in ambito microeconometrico per stimare l’effetto di un “trattamento” (ad esempio l’introduzione di un provvedimento di policy) su un gruppo di soggetti (“trattati”), relativamente a un secondo gruppo di soggetti non esposti al trattamento (gruppo di “controllo”). I due gruppi vengono osservati in due periodi, uno precedente e uno successivo al trattamento».
[12] Al riguardo, si fa riferimento alla difficoltà di controllare tutti i fattori che possono influenzare la propensione all’evasione fiscale e alla necessità di classificare le province in base all’intensità del trattamento, dato che il divieto di utilizzo del contante è stato emanato a livello nazionale.
Fonte: Questione Giustizia
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