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Il traffico di migranti e le tante norme che da decenni lo bandiscono

Piero Innocenti il . Criminalità, Diritti, Istituzioni, Mafie, Migranti, Politica

L’importante recentissima operazione “Mare aperto” della squadra mobile della Questura di Caltanisetta conclusa, al termine di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica nissena, durate più di due anni, con gli arresti di 18 componenti, italiani e tunisini, di una associazione a delinquere che trasportava migranti a Gela dopo averli imbarcati in Tunisia, è l’ulteriore evidenza di come questo fenomeno criminale non rallenti affatto e rappresenti un problema di assoluto rilievo anche nell’attuale momento in cui l’immigrazione clandestina via mare è oggetto di un vivace dibattito politico.

L’intercettazione, poi, di una telefonata in cui uno dei capi si rivolge agli scafisti suggerendo, nella eventualità di problemi con i migranti durante la traversata, di “gettarli in mare”, è la conferma dello spessore criminale e della spietatezza di tali malviventi.

Il ricordo è andato ad alcune ricerche scientifiche che, anni fa, evidenziarono come le rotte più seguite dagli squali nei loro trasferimenti oceanici corrispondessero perfettamente a quelle delle navi negriere da dove venivano buttati in mare gli schiavi che morivano a causa delle terribili condizioni in cui venivano trasportati.

Sono stati gli olandesi,i francesi e inglesi, nel 1650, sviluppando intense piantagioni nelle Americhe a dare inizio al commercio degli schiavi acquistandoli lungo le coste africane. I neri d’Africa erano forti e robusti come muli e garantivano almeno un decennio di duro lavoro. Ad iniziare la tratta degli schiavi furono invece i portoghesi nel secolo XV attivando un gigantesco mercato che vedeva il golfo di Guinea (ribattezzato il “golfo degli schiavi”) come l’epicentro delle esportazioni di “merce umana” attraverso l’Atlantico alla volta di Haiti, Cuba, Brasile, Santo Domingo. Legati nelle stive di queste navi negriere si calcola che almeno il 50% non arrivasse a destinazione. L

a massima espansione del traffico si registrò nella seconda metà del Settecento, il periodo storico coincidente con la diffusione dell’Illuminismo. Ma gli schiavi interessavano poco le nuove idee e persino Voltaire, filosofo francese e simbolo di questo periodo, investiva buona parte dei suoi guadagni nelle campagne schiaviste. La rivoluzione francese abolì la schiavitù ma pochi rinunciarono agli “affari” tanto più che il prezzo degli schiavi, in un mercato vietato, crebbe notevolmente.

Toccò a Napoleone ripristinare lo schiavismo e l’impietosa analisi contenuta nel libro “Le crime de Napoleon” (di Claude Riffe, Parigi, 2006), ricorda le accusa rivolte all’imperatore di aver schiavizzato 250mila francesi d’oltremare, massacrandone migliaia, creando campi di concentramento in Corsica dove morirono migliaia di negri e applicando in generale una legislazione razziale che determinò vere e proprie deportazioni in massa a Santo Domingo.

Con il Congresso di Vienna (1815) gran parte degli Stati europei si impegnarono ad abolire la schiavitù ma solo nel 1926 ci fu la dichiarazione ufficiale della fine della tratta e della schiavitù da parte della Società delle Nazioni.

Ancora oggi questo vile mercato esiste e si è sviluppato interessando molti paesi e coinvolgendo organizzatissime strutture criminali specializzate sia nella tratta (trafficking of human beings, ossia sfruttamento delle persone che ne sono oggetto) che nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (smuggling of migrants, letteralmente contrabbando di migranti).

Diverse norme che bandiscono schiavitù e pratiche analoghe sono contenute in molti accordi internazionali, alcuni addirittura risalenti agli inizi del secolo scorso come l’Accordo internazionale inteso a garantire una protezione efficace contro il traffico criminale conosciuto sotto il nome di tratta delle bianche del 18 maggio 1904; la Convenzione per la soppressione della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione del 2 dicembre 1949; fino ad arrivare a norme più recenti come quelle contenute nel Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo 2000) per reprimere e punire la tratta di persone; alla Risoluzione del Consiglio europeo del 20 ottobre 2003 sulle iniziative contro la tratta di esseri umani, in particolare donne.

Le leggi, dunque, ci sono e da molto tempo; ci vuole determinazione, coraggio, buona volontà e una buona dose di solidarietà concreta tra i Paesi interessati dal fenomeno criminale.

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