Il mio amico Luigi simbolo dell’antimafia del fare mi insegnò a sporcarmi le mani
Gian Carlo Caselli ripercorre il rapporto decennale con il prete. “Enorme il suo sostegno quando mi trasferii a Palermo dopo le stragi”.
In un giorno di lutto atroce per la morte assurda e tragica di un collega, al funerale mi chiedevo se la fede e la stessa vita avessero un senso.
Intanto un giovane prete con i paramenti viola, a me sconosciuto, iniziava la messa funebre. Era don Luigi Ciotti. Come se intuisse i dubbi interiori dei presenti, con la sua omelia cercò di ritrovare quel senso che l’assurdità rappresentata dalla bara davanti a noi stava mettendo a dura prova.
Non saprei ripetere le sue parole. Ricordo però che finii per dirmi: è tutto incomprensibile, misterioso, ma questo prete è riuscito a lasciare più di qualche spiraglio. Non c’è da sbattere la testa contro un muro: ci sono ancora le cose importanti che egli ha saputo dire.
Lì (nei primi anni Ottanta) è sbocciata l’amicizia con don Luigi: persi un amico, ne trovai un altro che mi ha accompagnato, con attenzione anche critica ma sempre con affetto, nelle tappe fondamentali della mia vita.
Indimenticabile il suo sostegno in un momento per me cruciale. La decisione – dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio – di fare domanda di trasferimento da Torino a Palermo a capo di questa Procura fu ovviamente il risultato di tutta una serie di riflessioni, discussioni e confronti nell’ambito familiare e oltre. Un ruolo importante in questa scelta ebbe don Ciotti, teorico e praticante – ieri come oggi – della necessità di mettersi a disposizione, di “sporcarsi le mani” tutte le volte che ne valga la pena.
Anche in seguito, nel concreto svilupparsi della mia esperienza palermitana, la vicinanza di Ciotti non mi mancò mai. Mentre nascevano, si estendevano e si rafforzavano “Libera”, “Narcomafie” e tante altre iniziative preziose sul versante della legalità e dell’antimafia: autentiche boccate d’aria pulita che aiutavano a tirare avanti, soprattutto nei momenti difficili.
Fra i tanti momenti della mia vita che si associano a don Ciotti, un posto di rilievo occupa il battesimo di Giulia, la nipote nata nel 1995 nel pieno della “bagarre” palermitana. Quello celebrato da Luigi, a Cesana, durante un campo scuola del Gruppo Abele, fu uno dei “suoi” battesimi, caratterizzati dall’attenzione alle specificità delle persone coinvolte e ai loro problemi.
Quello di Giulia fu un battesimo… “palermitano” in Val di Susa. Commovente per tutti, non solo per il nonno che arrivava apposta da Palermo. E se anche le foto, essendosi il battesimo svolto all’aperto e con un gran vento, ritraggono non una bimba, ma un fagottino senza identità, i ricordi sono rimasti ugualmente impressi nel cuore dei presenti.
Quella di Ciotti è stata sempre un’antimafia “del fare”.
Il suo capolavoro è la legge 109/96, “imposta” col traino irresistibile di un milione di firme. È la base dell’antimafia sociale o dei diritti, in forza della quale una parte del “bottino” che la mafia ha rapinato alla collettività le viene restituito perché possa trarne profitti sociali.
Quindi un’antimafia che non agisce solo secondo uno schema di “guardie e ladri”, ma coinvolge la società civile, offrendo opportunità di lavoro che creano cittadini titolari di diritti, non più sudditi dei mafiosi. Una conquista ammirata e studiata ovunque nel mondo, un “fiore all’occhiello” che ci consente di rivendicare che l’Italia è sì – purtroppo – un Paese con problemi di mafia, ma è soprattutto il Paese dell’antimafia.
Più di recente, Ciotti e “Libera” hanno promosso un accordo con cinque ministeri, la PNA, la CEI e vari uffici giudiziari calabresi per realizzare un progetto denominato “Liberi di scegliere”. L’accordo sta funzionando bene e può fornire una concreta alternativa di vita ai ragazzi minorenni che provengono da famiglie di criminalità organizzata o che siano vittime della violenza mafiosa, oltre che ai loro familiari se si dissociano dalle logiche criminali.
In breve, Ciotti merita un forte GRAZIE da parte di tutti, per i servizi (alcuni dei quali qui riassunti) resi sempre e solo a tutela del bene comune.
Fonte: La Stampa
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