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Esagerate le critiche alla norma antirave?

Piero Innocenti il . Criminalità, Cultura, Diritti, Droga, Giovani, SIcurezza, Società

Oggi che le vivaci polemiche politiche dei giorni scorsi sulla introduzione, il 31 ottobre scorso, con un decreto legge, di una norma penale sui rave party, si sono in parte attenuate, proviamo a fare qualche considerazione sullo svolgimento di tali eventi e sulla partecipazione dei giovani.

Sono stati molti, politici della opposizione, giuristi, sindacalisti, che si sono detti contrari alla nuova norma (art. 434bis del c.p. “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”), ritenendola non indispensabile, troppo generica, con pene particolarmente elevate e con il “pericolo” della sua applicazione anche ad altri tipi di raduni, come quelli di natura politica o sindacale, le occupazioni delle fabbriche, delle università e simili.

Nell’esame del decreto, già assegnato in Commissione al Senato, che si svilupperà nella fase di conversione in legge, ci sarà la possibilità di apportare quelle “modifiche indirizzate a precisare meglio, qualora lo si ritenga necessario, i confini della nuova fattispecie penale” (in tal senso il ministro dell’interno Piantedosi nell’incontro il 4 novembre scorso con i segretari dei sindacati confederali).

Forse la “fretta” del Governo di intervenire per prevenire le “sgradevoli” situazioni che si erano verificate anche in un recente passato con tali raduni musicali organizzati mediante un “passa parola” clandestino, non ha consentito di redigere la norma con la dovuta attenzione ma, di certo, non erano più tollerabili eventi di questo tipo che si realizzavano intanto commettendo reati (per esempio quello ex art. 633 c.p.), compromettendo l’incolumità pubblica degli stessi partecipanti con accensioni pericolose (senza presidi antincendio), lo spaccio di stupefacenti, la violazione di regolamenti comunali e regionali che prevedono una serie di illeciti amministrativi per il “campeggio abusivo”.

Il punto, a mio parere più preoccupante è costituito dal fatto che la “tolleranza” di tali eventi e, comunque, la grande difficoltà delle autorità di pubblica sicurezza a controllarli una volta avviati, ha comportato, di fatto, lo spaccio e il consumo diffuso di stupefacenti.

L’esperienza sul campo di poliziotti, infatti, ha evidenziato come una percentuale apprezzabile dei giovani partecipanti aveva precedenti di polizia per la detenzione ai fini di spaccio di droghe di vario tipo (vedi  l’episodio, non isolato, del giovane bresciano arrestato da agenti della Polizia di Stato alla stazione ferroviaria di Parma, poco dopo la conclusione del rave di Modena, con diverse dosi di cocaina ed altre sostanze tra cui funghi allucinogeni).

Nelle settimane passate vi erano state altre iniziative per organizzare rave (in provincia di Caltanissetta e a Terni) ma la tempestiva segnalazione dei servizi di polizia nel controllo del territorio aveva comportato il rapido intervento delle autorità di pubblica sicurezza che, seppur con qualche difficoltà nel reperire sufficienti risorse umane per tali emergenti situazioni (di solito tali raduni avvengono nei fine settimana), erano riuscite a far desistere i partecipanti dalla occupazione arbitraria dei terreni.

Spetta, lo ricordiamo, all’autorità di pubblica sicurezza l’esercizio delle attribuzioni indicate nell’art. 1 del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) ossia la “veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà”( pubblica e privata, senza distinzione ndr), oltre che curare “l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni”.

Quanto ai pericoli per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica indicati nell’art. 434bis suindicato, termini ritenuti troppo generici dai vari “contestatori” del provvedimento, si potrebbe, forse, attribuire questa valutazione ai questori delle singole province che già valutano queste situazioni nei casi in cui, per esempio, debbano impedire che abbia luogo una riunione pubblica oppure debbano prescrivere modalità di tempo e di luogo della riunione stessa (art 18 del TULPS).

Sono i questori (autorità provinciali di pubblica sicurezza) in effetti che, grazie alle informazioni che hanno e che sono in grado di acquisire sollecitamente sul territorio, a poter valutare adeguatamente eventuali motivi che riconducibili ai punti sopra indicati suggeriscono o impongono la tutela dei beni indicati.

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