In piazza per la nonviolenza
La piazza colorata della pace non prende solo le distanze da quell’ipocrita legittimazione della violenza che è la guerra.
Quella piazza indica un’altra strada all’umanità intera e intende piuttosto allontanare ogni coscienza dall’indifferenza e dall’egoismo. Quella piazza dice che la peggiore delle sconfitte è rassegnarsi alla violenza, delegare agli strumenti di morte la soluzione di un conflitto, considerare l’uso della forza un male doloroso e necessario.
Quella piazza dice che parlarsi è di gran lunga meglio che spararsi perché – sempre – dietro un nemico c’è una persona, dentro un nemico c’è un fratello. Si chiama nonviolenza ed è la scelta più realistica e meno utopistica della storia. Alcuni la stanno praticando anche in Ucraina.
In Tigray da ieri hanno provato a mettersi attorno a un tavolo, e quanto sarebbe vitale anche in Haiti, in Congo, in Siria, in Yemen e in troppi altri angoli del pianeta in cui si implora che qualcuno possa scommettere sulla trattativa e sulla protezione della gente che la guerra la subisce.
Esserci è essenziale. È mettersi in cammino. È comprendere che la pace cammina anche con i tuoi piedi.
E che la nonviolenza è il guado dal no alla guerra al sì alla pace.
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